Petrolio, intesa sui tagli produttivi Il prezzo del barile rimbalza del 5%
Borse europee in ripresa, solo Francoforte negativa Nuovi ribassi a Wall Street
Accordo a Vienna per un taglio di un totale di 1,2 milioni di barili al giorno della produzione di petrolio da parte dell’Opec, con il sostegno degli alleati non Opec, a partire dalla Russia. Come comunicato al termine della due giorni di riunioni, i Paesi Opec ridurranno l’output di 800mila barili al giorno a partire dal primo gennaio 2019 e per sei mesi: gli altri Paesi ridurranno le estrazioni per altri 400mila bg. Immediata la reazione dei prezzi, con il barile che ha recuperato il 5%. Quanto alle Borse internazionali, leggeri recuperi in Europa (Germania a parte), ma nuovi forti ribassi a Wall Street.
Sul finire di una settimana condotta all’arma bianca arriva la tregua sui listini finanziari: una tregua parziale e fragile, come tutte quelle che si basano sulle congetture e sulle sensazioni degli investitori, piuttosto che sulle certezze. Le congetture in questo caso sono quelle che si continuano a costruire sulle imminenti mosse delle Banche centrali, chiamate come di consueto a sbrogliare la matassa dei mercati e a distendere i nervi tesi che di questi tempi affiorano fra gli operatori.
E se la Bce giovedì prossimo accompagnerà il termine del quantitative easing prevista per fine anno con una riunione probabilmente interlocutoria (ma non si escludono novità sui finanziamenti Tltro per le banche), ben altre aspettative sono riposte su ciò che la Federal Reserve comunicherà al mercato il mercoledì successivo, 19 dicembre. Il mercato assegna al momento una probabilità superiore al 70% a un ulteriore rialzo dei tassi di 25 centesimi da parte della Banca centrale statunitense, ma si concentra soprattutto sul futuro. Non è infatti da scartare l’ipotesi che Jerome Powell e soci si prendano una pausa e interrompano la cadenza trimestrale con cui finora hanno distribuito gli interventi sui tassi, per poi magari procedere a un’ultima «stretta» a giugno.
Questa è almeno l’eventualità che nella serata di giovedì aveva propiziato un recupero prodigioso di Wall Street dai minimi di seduta fino quasi alla parità, che ieri però non ha trovato alcun sostegno favorevole negli attesi dati macro in programma. Le cifre sul mercato del lavoro Usa, pur inferiori alle previsioni (155mila nuovi posti creati a novembre contro i quasi 200mila che si stimavano in media) non sono poi così negative da riavvicinare lo spettro della recessione (il tasso di disoccupazione rimane al 3,7%, minimi dal 1969), né far automaticamente pensare che Washington possa togliere il piede dall’acceleratore fin da subito.
Ripiombato nell’incertezza, l’azionario di New York ha dunque iniziato di nuovo a scendere di pari passo al dollaro, mentre l’Europa ha frenato il rimbalzo: Milano ha chiuso a +0,53%, Parigi a +0,68%, Madrid a +0,58%, Londra a +1,10%, con Francoforte che ha addirittura ceduto lo 0,21 per cento. Contrastate anche le reazioni sull’obbligazionario, con acquisti moderati sui Treasury e una curva dei rendimenti Usa che si mantiene ancora inclinata negativamente per le scadenze comprese fra 2 e 5 anni come se si trattasse di un monito per gli investitori troppo ottimisti sul ciclo economico Usa.
Sempre sul versante dei titoli di Stato è andata invece molto meglio ai titoli del nostro Tesoro, i cui tassi sono tornati a scendere in modo sostenuto dopo la pausa della vigilia, senza peraltro che vi fossero novità particolarmente significative sul versante dei conti pubblici, né delle trattative con la Commissione europea. Il BTp decennale rendeva ieri sera il 3,14%, con uno scarto rispetto al Bund (che invece è stato moderatamente venduto) di 289 punti base: una settimana positiva, almeno su questo fronte.