Il Sole 24 Ore

Spese temporanee e frenata Pil entrano nel confronto con la Ue

Si punta ad allargare la flessibili­tà, domani nuovo vertice. Per «quota 100» possibile transizion­e per tre anni. Riduzioni di spesa a 3,5 miliardi, 2 arrivano dalle pensioni

- Marco Rogari Gianni Trovati

Circostanz­e eccezional­i.

Il lavoro tecnico sulle possibili revisioni della manovra è chiuso. E domani ingombrerà i tavoli dell’ennesimo vertice a Palazzo Chigi per fare il punto su numeri e misure. Perché c’è da definire la linea unitaria del governo, cercando di trovare la sintesi fra le spinte di Conte al deficit al 2%, quelle leggerment­e più ambiziose (ma isolate) di Tria e il «non possumus» finora ribadito da Salvini e Di Maio a scendere sotto il 2,2-2,1%. Non più tardi di ieri, da Piazza del Popolo, lo stesso Salvini ha chiesto l’investitur­a a essere lui il titolare della «trattativa con rispetto» con la Ue «a nome di 60 milioni di italiani». Ma «il governo è uno – assicura nel pomeriggio il sottosegre­tario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti – e ci sarà una posizione». «L’intesa con la Ue è ancora possibile», sostiene il ministro dell’Economia Tria, ma «ci vuole l’accordo della politica».

In quest’ottica, le proposte tecniche possono aiutare ma non risolvere. Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di non considerar­e struttural­e tutta la spesa per pensioni e reddito, che in ogni caso è in riduzione rispetto ai programmi originari. Questa mossa, insieme a un possibile allargamen­to fino a 5 miliardi (tre decimali di Pil) degli investimen­ti “eccezional­i” fuori dal calcolo del saldo struttural­e, aiuterebbe ad avvicinare i numeri italiani a quelli di Bruxelles. Senza farli coincidere, sfida che oggi appare impossibil­e, anche se la frenata della crescita può dare una mano per limare la correzione.

Le «opzioni tecniche» rievocate ancora ieri da Tria si sono concentrat­e su reddito e pensioni, oltre che su una definizion­e maggiore di un possibile piano di dismission­i (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Sulle misure bandiera, i fronti sono due: i “risparmi” rispetto ai calcoli originari, che dovrebbero attestarsi intorno ai 2 miliardi per le pensioni mentre nel caso del reddito, al momento, sarebbero ridotti a poco più di un miliardo. L’applicazio­ne della misura da aprile riduce infatti lo stanziamen­to aggiuntivo da 5,8 miliardi, ma non ha effetto né sui 2,2 miliardi del Rei (che continua a operare fino alla sostituzio­ne con il nuovo aiuto) né sul miliardo per la riforma dei centri per l’impiego. In totale, il pacchetto rimane ancorato intorno ai 3,5 miliardi (due decimi di Pil), che Salvini e Di Maio vogliono spostare a investimen­ti esclusi dai calcoli struttural­i. In questo modo si resterebbe comunque lontani dagli obiettivi minimi di Bruxelles, che è disposta a trattare su un deficit nominale non sopra l’1,9%, quindi almeno otto miliardi in meno di quelli messi nei primi due Dbp italiani. Nell’ottica di Roma, la ricomposiz­ione della manovra che sposta risorse da spesa corrente a investimen­ti può alleggerir­e la richiesta europea: ma l’ipotesi è tutta da verificare.

Per provare a rendere più digeribili i conti italiani, si è lavorato anche sul possibile carattere “temporaneo” delle pensioni (la misura più nel mirino di Bruxelles). Attenzione, però, qui bisogna intendersi. Sul piano politico, la misura è struttural­e, ma la tecnica può provare a parlare un linguaggio diverso puntando sul “carattere sperimenta­le” dell’intervento. Quota 100 è infatti prevista solo per tre anni, come confermato dalla stessa Lega che la considera una misura-ponte verso l’introduzio­ne di quota 41 dal 2022.

Naturalmen­te la strada per far passare questa imposizion­e a Bruxelles è tutta in salita, nonostante la volontà esplicita di trovare un accordo filtrata in queste settimane dalla commission­e. Conte riferirà alla Camera i risultati ufficiali dell’ultimo confronto del governo prima della partenza per Bruxelles mercoledì pomeriggio, dove dovrebbe incontrare Juncker a margine del Consiglio europeo. Ma l’obiettivo del confronto è duplice, e guarda anche a ritardare tempi ed effetti della procedura d’infrazione che al momento resta eventuale. Le date da cerchiare in rosso sono due: il 19 dicembre, quando si riunirà la commission­e per definire la proposta di bocciatura definitiva dei conti pubblici, e il 22 gennaio, quando sarà il consiglio a dover avviare la macchina vera e propria. A questo punto, la tabella di marcia prevede due opzioni: le «raccomanda­zioni» con le contromisu­re da assegnare all’Italia possono arrivare entro tre oppure entro sei mesi. La seconda strada, più lenta, porterebbe la resa dei conti al 22 luglio, dopo le elezioni europee di maggio. Ma il meccanismo è complesso, e, oltre a prevedere una discrezion­alità su misure e sanzioni, contempla altri passaggi successivi prima dell’ulteriore “intimazion­e” che a questo punto arriverebb­e in autunno. Diversa l’opzione più breve, che porterebbe a chiudere la pratica prima dell’estate rendendo impossibil­e un rinvio alla manovra dell’anno prossimo.

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Giovanni Tria «L’accordo con la Ue è ancora possibile», ha spiegare il ministro dell’Economia Giovanni Tria alla Camera per il voto sulla manovra, ma «ci vuole l’accordo della politica».

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