Spese temporanee e frenata Pil entrano nel confronto con la Ue
Si punta ad allargare la flessibilità, domani nuovo vertice. Per «quota 100» possibile transizione per tre anni. Riduzioni di spesa a 3,5 miliardi, 2 arrivano dalle pensioni
Circostanze eccezionali.
Il lavoro tecnico sulle possibili revisioni della manovra è chiuso. E domani ingombrerà i tavoli dell’ennesimo vertice a Palazzo Chigi per fare il punto su numeri e misure. Perché c’è da definire la linea unitaria del governo, cercando di trovare la sintesi fra le spinte di Conte al deficit al 2%, quelle leggermente più ambiziose (ma isolate) di Tria e il «non possumus» finora ribadito da Salvini e Di Maio a scendere sotto il 2,2-2,1%. Non più tardi di ieri, da Piazza del Popolo, lo stesso Salvini ha chiesto l’investitura a essere lui il titolare della «trattativa con rispetto» con la Ue «a nome di 60 milioni di italiani». Ma «il governo è uno – assicura nel pomeriggio il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti – e ci sarà una posizione». «L’intesa con la Ue è ancora possibile», sostiene il ministro dell’Economia Tria, ma «ci vuole l’accordo della politica».
In quest’ottica, le proposte tecniche possono aiutare ma non risolvere. Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di non considerare strutturale tutta la spesa per pensioni e reddito, che in ogni caso è in riduzione rispetto ai programmi originari. Questa mossa, insieme a un possibile allargamento fino a 5 miliardi (tre decimali di Pil) degli investimenti “eccezionali” fuori dal calcolo del saldo strutturale, aiuterebbe ad avvicinare i numeri italiani a quelli di Bruxelles. Senza farli coincidere, sfida che oggi appare impossibile, anche se la frenata della crescita può dare una mano per limare la correzione.
Le «opzioni tecniche» rievocate ancora ieri da Tria si sono concentrate su reddito e pensioni, oltre che su una definizione maggiore di un possibile piano di dismissioni (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Sulle misure bandiera, i fronti sono due: i “risparmi” rispetto ai calcoli originari, che dovrebbero attestarsi intorno ai 2 miliardi per le pensioni mentre nel caso del reddito, al momento, sarebbero ridotti a poco più di un miliardo. L’applicazione della misura da aprile riduce infatti lo stanziamento aggiuntivo da 5,8 miliardi, ma non ha effetto né sui 2,2 miliardi del Rei (che continua a operare fino alla sostituzione con il nuovo aiuto) né sul miliardo per la riforma dei centri per l’impiego. In totale, il pacchetto rimane ancorato intorno ai 3,5 miliardi (due decimi di Pil), che Salvini e Di Maio vogliono spostare a investimenti esclusi dai calcoli strutturali. In questo modo si resterebbe comunque lontani dagli obiettivi minimi di Bruxelles, che è disposta a trattare su un deficit nominale non sopra l’1,9%, quindi almeno otto miliardi in meno di quelli messi nei primi due Dbp italiani. Nell’ottica di Roma, la ricomposizione della manovra che sposta risorse da spesa corrente a investimenti può alleggerire la richiesta europea: ma l’ipotesi è tutta da verificare.
Per provare a rendere più digeribili i conti italiani, si è lavorato anche sul possibile carattere “temporaneo” delle pensioni (la misura più nel mirino di Bruxelles). Attenzione, però, qui bisogna intendersi. Sul piano politico, la misura è strutturale, ma la tecnica può provare a parlare un linguaggio diverso puntando sul “carattere sperimentale” dell’intervento. Quota 100 è infatti prevista solo per tre anni, come confermato dalla stessa Lega che la considera una misura-ponte verso l’introduzione di quota 41 dal 2022.
Naturalmente la strada per far passare questa imposizione a Bruxelles è tutta in salita, nonostante la volontà esplicita di trovare un accordo filtrata in queste settimane dalla commissione. Conte riferirà alla Camera i risultati ufficiali dell’ultimo confronto del governo prima della partenza per Bruxelles mercoledì pomeriggio, dove dovrebbe incontrare Juncker a margine del Consiglio europeo. Ma l’obiettivo del confronto è duplice, e guarda anche a ritardare tempi ed effetti della procedura d’infrazione che al momento resta eventuale. Le date da cerchiare in rosso sono due: il 19 dicembre, quando si riunirà la commissione per definire la proposta di bocciatura definitiva dei conti pubblici, e il 22 gennaio, quando sarà il consiglio a dover avviare la macchina vera e propria. A questo punto, la tabella di marcia prevede due opzioni: le «raccomandazioni» con le contromisure da assegnare all’Italia possono arrivare entro tre oppure entro sei mesi. La seconda strada, più lenta, porterebbe la resa dei conti al 22 luglio, dopo le elezioni europee di maggio. Ma il meccanismo è complesso, e, oltre a prevedere una discrezionalità su misure e sanzioni, contempla altri passaggi successivi prima dell’ulteriore “intimazione” che a questo punto arriverebbe in autunno. Diversa l’opzione più breve, che porterebbe a chiudere la pratica prima dell’estate rendendo impossibile un rinvio alla manovra dell’anno prossimo.