La parabola del presidente arroccato all’Eliseo
Violenza, sospetti di manipolazione straniera sui social network, una protesta spontanea e con comprensibili rivendicazioni economiche e sociali di partenza che via via si organizza lungo direttrici inquietanti, fino a esplodere in maniera organizzata e distruttiva. Non tutti i conti tornano nell’interpretazione del fenomeno dei “Gilet Gialli”, movimento polimorfo in grado di federare la Francia che si sveglia presto al mattino per andare al lavoro a decine di chilometri da casa, l’estremismo di destra e di sinistra e una guerriglia urbana professionale.
Non ci sono volti, nomi, responsabilità precise. Resta però una solida tradizione protestataria e conservatrice sulla quale far leva. Sappiamo che dietro la fosforescenza del giallo, unico elemento di riconoscibilità, si leva una cortina fumogena che avvolge e soffoca le ideologie tradizionali, e non solo i cortei di protesta. Il tentativo è di riuscire dove Marine Le Pen e altre forze estreme avevano fallito alle elezioni del 2017 grazie a un Macron allora in sintonia con lo spirito del tempo (un misto di anti-politica e competenza tecnocratica che però oggi mostra tutti i suoi limiti) e al meccanismo istituzionale di pesi e contrappesi rappresentato dal sistema di voto a doppio turno. Si parte dal no all’aumento della tassa sul carburante, si arriva allo slogan populista del “meno tasse e più spesa pubblica”, e si finisce per contestare il Global Compact, la dichiarazione dell’Onu sui migranti, il tutto tenendo in ostaggio con il caos la vita di intere città.
Finora silenzioso e arroccato all’Eliseo, il presidente medita le sue prossime mosse, nella consapevolezza che mai come in questi giorni la V Repubblica è stata così vulnerabile.