Il superamento del Pil per un benessere più sostenibile
L’assenza di misure appropriate per le disuguaglianze e l’insicurezza economica non permettono di attuare politiche efficaci per contrastarle. Servono nuove metriche
Nel corso del Sesto Forum Mondiale dell’Ocse su “Statistica, Conoscenza e Politica”, tenutosi in Corea la settimana scorsa, è stato presentato il Rapporto del Gruppo di alto livello sulla misurazione della performance economica e il progresso sociale, che aggiorna e integra il “Rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi” pubblicato nel 2009. Mentre in quell’occasione si decise di avere un Rapporto condiviso dall’intera commissione, questa volta abbiamo preferito avere due volumi distinti: il primo presenta nove saggi, che si concentrano sulle misure delle disuguaglianze (economiche, sociali, di opportunità, ecc.), dell’insicurezza economica e della sostenibilità, mentre il secondo fornisce una visione d’insieme dei diversi temi trattati.
Che il Prodotto Interno Lordo (Pil) sia una misura ormai insufficiente del benessere è un dato di fatto ampiamente riconosciuto. Affermatosi come standard oltre 60 anni fa, il Pil ha rappresentato per molto tempo un buon indicatore del tenore di vita di un Paese e del suo “progresso” nel corso del tempo. Ma oggi questa associazione è diventata sempre più labile per molteplici ragioni: l’aumento della produzione può non condurre ad analoghi aumenti dell’occupazione, sia a causa di un cattivo funzionamento del mercato del lavoro che delle trasformazioni tecnologiche; i redditi aggiuntivi derivanti dalla crescita economica possono andare a favore solo della parte più ricca della popolazione; l’aumento della produzione può determinare un peggioramento dell’ambiente, con gravi danni per la salute e la qualità della vita; infine, oltre un certo livello del reddito la relazione positiva tra il Pil e la felicità delle persone tende a diventare poco significativa. D’altra parte, sappiamo anche che una recessione economica produce effetti negativi sull’occupazione, sulla salute, sulla qualità della vita, sulla coesione sociale, come anche la lunga crisi italiana ha dimostrato.
La consapevolezza della necessità di “andare oltre il Pil” è cresciuta molto negli ultimi 15 anni, da quando il primo Forum Ocse, organizzato a Palermo nel 2004 quando ero chief statistician dell’Organizzazione, ha dato avvio a un vero e proprio movimento mondiale, stimolando una notevole massa di ricerche e alcune iniziative politiche, tra cui l’introduzione nella legislazione italiana degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (Bes), rispetto ai quali il Governo è tenuto a valutare l’effetto delle politiche pubbliche, sia in occasione della presentazione del Documento di economia e finanza (Def), sia dopo l’approvazione della Legge di Bilancio.
Il messaggio che emerge dai due rapporti pubblicati la scorsa settimana è molto chiaro: l’assenza di misure appropriate di fenomeni come le disuguaglianze, l’insicurezza economica e la sostenibilità contribuiscono a renderci incapaci non solo di anticipare le crisi, ma anche di disegnare politiche efficaci per superarle. Le analisi si concentrano, ovviamente, sulle crisi degli anni scorsi, ma ci aiutano anche a capire perché certe politiche economiche non producano gli effetti sperati (basti ricordare che, in Italia, la ripresa economica degli ultimi anni si è accompagnata a un aumento di povertà e disuguaglianze). In particolare, nel saggio scritto da me, M. De Smedt e W. Radermacher ci concentriamo sulla misura della vulnerabilità e della resilienza, cioè della capacità dei sistemi di reagire alle crisi, tema fondamentale per affrontare gli shock (tecnologici, climatici, economici, sociali) che ci aspettano. Il saggio illustra anche i risultati del progetto di ricerca che stiamo conducendo su questi temi presso il Joint Research Centre della Commissione Europea. Questa nuova impostazione analitica può essere utilizzata allo scopo di modificare le politiche nazionali e quelle europee e non a caso, nel recente Rapporto “Uguaglianza sostenibile”, redatto per il Gruppo Socialista e Democratico del Parlamento Europeo, abbiamo proposto il ridisegno del “Semestre europeo”, sostituendo l’Annual growth survey con un Annual sustainable development survey, basato su indicatori più appropriati. Insomma, da migliori misure del benessere a migliori politiche per il benessere il passo può non essere così lungo.
Università di Roma Tor Vergata, portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo
sostenibile (Asvis)