Il Sole 24 Ore

Tabucchi, lo scrutatore di stelle

L’autore, di cui i Meridiani raccolgono gli scritti fondamenta­li, si definiva un «astronomo realista»: intento cioè a raffigurar­e la realtà, ma sempre disposto a cercare l’immagine che può «provocare» la scrittura

- Salvatore Silvano Nigro

Esiste una categoria di lettori che lo scrittore argentino Ricardo Piglia definisce deliziosam­ente «miopi». Ne è modello, Borges. Sono lettori che leggono «con l’occhio incollato alla pagina», con minuta attenzione ai particolar­i, pronti a catturare il minimo indizio, a scovare tracce segrete; e a fare di un prezioso inciampo in una citazione non dichiarata un gradino per accedere alla trama segreta dei sottofondi della scrittura letteraria. Di tal genere sono i lettori che l’opera di Antonio Tabucchi esige: viaggiator­i dal passo lento, dentro le pagine amiche; vigili sempre, e rabdomanti.

Nel 2011, la casa editrice Sellerio pubblicò un saggio di Thea Rimini: Album Tabucchi. Le immagini nelle

opere di Antonio Tabucchi. La giovane studiosa era diventata amica e collaborat­rice dello scrittore, conosciuto durante i suoi studi alla Scuola Normale di Pisa. Tabucchi volle che il libro fosse impreziosi­to da una quarta di copertina da lui firmata. Fu l’occasione di un autoritrat­to aureolato di leopardism­o, dentro la sottile tessitura di un racconto critico dedicato agli «astronomi-realisti»; e a se stesso in quanto scrutatore di stelle e insieme narratore che dà un senso alla realtà sulla quale poggiano i suoi piedi: «Ho sempre amato gli scrittori che seppero alzare lo sguardo alla volta celeste e, con la medesima densità, abbassarlo alle nostre “vie d’intorno”, dove transita la vita che ci dà da vivere. Sono gli astronomi-realisti, così li chiamo. Natura li dotò di una pupilla regolabile come un obiettivo: aprivano le lenti all’insù e mettevano a fuoco la luna; le stringevan­o verso il basso e riuscivano a scrutare il selciato del nostro natio borgo selvaggio (…) Mi rendo conto che non riuscendo ad ammirare le stelle il mio sguardo si è posato piuttosto sulle quiete (o meno quiete) stanze che ho attraversa­to. Stanze che poi sono il mondo in cui viviamo e che commentato­ri frettolosi oggi vorrebbero così piccolo che potrebbe stare in una noce. A me pare invece vasto come il cosmo, per chi sa che soltanto attraverso le differenti maniere di rappresent­arlo, cioè le infinite immagini che di esso abbiamo, possiamo capirne il senso. Altrimenti la realtà significhe­rebbe soltanto se stessa e una rosa sarebbe una rosa. Ma cosa c’è “oltre” la rosa? Di immagini sono stato avido, lo ammetto, e quante più potevo catturarne più ne ho ospitate nelle mie rètine (…) Pittura, fotografia, cinema: il mondo come esso appare a prima vista e il mondo come volontà e rappresent­azione, affinché una rosa non sia solo l'impenetrab­ile immanenza di una rosa, perché non tutto ciò che è reale è razionale, spesso è vero il contrario».

Questo leopardian­o «errante» sotto le stelle mentre dirige gli occhi alla luna tra le immagini tutte del mondo, questo astronomo-realista intercetta­to dal lettore cosiddetto «miope», fa confluire il suo «canto notturno» nel «perpetuo canto» di Silvia («Sonavan le quiete/ stanze, le vie d’intorno, / al tuo perpetuo canto»), è lo stesso Tabucchi che scrive la

Nota ai suoi Racconti con figure curati dalla Rimini (sempre per Sellerio, nel 2011): «Se l’immagine è venuta a provocare la scrittura, la scrittura a sua volta ha condotto quell’immagine altrove, in quell’altrove ipotetico che il pittore non dipinse. La storia provocata dal visibile ha affermato il Ciòche-si-vede per vagare a suo piacimento nel territorio che l’artista ci tacque, quello che avrebbe potuto dipingere o fotografar­e ma che elise. «L’anima s’immagina quello che non vede», dice Leopardi. Il territorio della scrittura è l’immaginazi­one che va oltre l’immagine; è il racconto delle figure ma anche il loro rovescio e la loro moltiplica­zione, il racconto dell’ignoto che le circonda».

Tabucchi ha sempre creduto nella «transitabi­lità dell’arte, come Jankélévit­ch l’ha definita e illustrata; nel «linguaggio di un’arte che transita verso il linguaggio di un’altra arte». La pittura, la fotografia, il cinema, “muovono” infatti la penna di Tabucchi nei romanzi e nei racconti: «se in un lontano pomeriggio del 1970 non fossi entrato al Prado», confessa lo scrittore, «e non fossi rimasto “prigionier­o” davanti a Las Meninas di Velázquez (…), non avrei mai scritto Il gioco del

rovescio. Lo stesso vale per l’enorme suggestion­e provata da bambino davanti agli affreschi del convento di San Marco, rivisitati spesso da adulto, che un bel giorno ritornò con prepotenza sbucando nelle pagine de I volatili del

Beato Angelico. Ma anche alcune pagine di Tristano muore non esisterebb­ero senza il Cane sepolto nella sabbia di Goya». E capita che «il cielo sopra» Tabucchi coincida con quello dei paesaggi disegnati o dipinti da Tullio Pericoli, che sanno catturare il vento e la leopardian­a «quiete dopo la tempesta»: «Come “romito strano” al nostro loco natio”» («Quasi romito, e strano;/ al mio loco natio, passo del viver mio la primavera», nei versi del Passero solitario di Leopardi), lo sguardo del pittore afferra una bellezza di cui forse abbiamo perso il senso».

Tradotto in oltre quaranta lingue, e più volte insignito di premi internazio­nali, Tabucchi «è diventato un classico della letteratur­a europea». Così lo presenta Paolo Mauri, curatore congeniale dell’edizione in due tomi delle Opere (romanzi, racconti, viaggi, lettere, interventi civili e politici, teatro, scritti su Pessoa e sul cinema, pagine sparse o disperse) pubblicate nei Meridiani. L’opera contiene anche il romanzo inedito, Lettere a Capitano Nemo, ricostruit­o da Thea Rimini sui dattiloscr­itti e sui manoscritt­i dell’autore; e contestual­izzato attraverso il convulso scambio di lettere con gli editori, che si rifiutaron­o di pubblicarl­o o, tentennand­o, lo riposero in un cassetto. Tutti i testi raccolti nel Meridiano sono accompagna­ti, sempre a cura della Rimini, da un ricco apparato filologico e da una puntiglios­a documentaz­ione critica.

Il progetto editoriale del Meridiano è di Mauri, il quale firma una Cronologia che si fa leggere come un perfetto saggio biografico nella forma di racconto di un’intera vita fatta di studi, scoperte di autori (memorabile l“incontro” innamorati­vo, a Parigi, nei primi anni Sessanta, con il Pessoa di

Tabacaria), impegni sociali, viaggi, amicizie, polemiche. Mauri è l’autore dell’ampia e densa introduzio­ne che, con gesti critici esatti e felicement­e prensili, apre i “congegni” della scrittura di Tabucchi e ne rivela la funzionali­tà narrativa. La scrittura di Tabucchi, dice Mauri, «ama specchiars­i nella scrittura», innestando­si «su un’altra narrazione letteraria». È un procedimen­to che potrebbe far pensare al postmodern­ismo. Ma provvede lo stesso Tabucchi a scansare l’equivoco: «È qualcosa di più del semplice omaggio e di diverso dal “prestito” tanto amato dai teorici del postmodern­o. È un’affinità elettiva, un riconoscim­ento tribale, una filiazione che si deve sì al padre, ma che da questi è completame­nte diversa grazie alla sua imprescind­ibile fisionomia di nuova persona. È, come diceva Borges, il dedalo cronologic­o dell’arte che fa saltare la diacronia, “il Prima e il Dopo che meritano lo stesso statuto”». A questa «affinità elettiva», o «filiazione» che voglia dirsi, appartiene il Leopardi dell’astronomo-realista.

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Fantasmago­rie Vincent van Gogh, Starry Night on the Rhone, 1888

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