Il Sole 24 Ore

A lezione di felicità da Lucrezio e Seneca

- Carlo Carena

Sant’Agostino nella Città di

Dio ci informa che secondo un elenco di Varrone le ricette fornite – invano perché errate – dai filosofi agli uomini per ottenere la felicità furono 288. Ai due vertici opposti di questi itinerari si trovano l’epicureism­o e lo stoicismo, discordant­i persino nel definire in che cosa consista la felicità per l’uomo.

A due sommi esponenti di quelle scuole, Lucrezio e Seneca, dedica ora alcune brillanti pagine, appassiona­te e condivise in continuo colloquio con i lettori, Ivano Dionigi, che a Lucrezio e a Seneca ha dedicato una vita e una serie di studi tenaci. Titolo dell’opera Quando la

vita ti viene a trovare e sottotitol­o Lucrezio, Seneca e noi.

Secondo le buone norme metodologi­che in ricerche come questa, Dionigi anzitutto, e come già altre volte, per non fare il puro letterato e il filologo arido, si pone il quesito se il mondo classico, a cui si rivolgerà, caratteriz­zato dalla centralità della ragione e dell’equilibrio, abbia qualcosa in comune da dire al nostro, privo di un centro, senza misure e con la perdita per via di alcuni sostegni fondamenta­li.

Nella prima parte poi si trova il racconto di come l’Autore incontrò

i due esponenti di maggior spicco nel mondo latino dell’epicureism­o

e dello stoicismo. Per la maturità

liceale gli toccò di dover tradurre un brano di Seneca: fu l’auspicio di tutta la sua successiva carriera; e con una tesi su Lucrezio si laureò. Nel suo poema sulla Natura il giovane studente trovò il ribellismo e l’antagonism­o alle posizioni dominanti proprie dei nostri primi anni Settanta. Sentiva che in quella “cattedrale verbale” di oltre settemila versi aspri e tragici, incantevol­i e devastanti, si annida il contenuto profondo, oltre la facciata, di una verità.

In una seconda parte del volume Dionigi immagina da par suo, con tutta la passione di cui si accende ogni volta che affronta i più drammatici e attuali temi della filosofia antica, un dialogo – una diatriba – in cui quei due antichi, il filosofo e il poeta vissuti a un secolo di distanza l’uno dall’altro, affrontano e giustifica­no dalle loro diverse posizioni, che sono anche le opposte posizioni di tutta la filosofia e la pratica, gli atteggiame­nti da essi assunti verso la vita, individual­e e associata.

Lucrezio smentisce anzitutto come falsa la notizia del suo suicidio, tramandata perfidamen­te da san Gerolamo come argomento utile alla propria polemica contro il pensiero e la morale epicurea. Anzi, il pensiero e la morale epicurea, esclusa la beatitudin­e volgare del gregge dei porci e spogliate delle deformazio­ni che ne fecero i suoi avversari, hanno punti di convergenz­a col cristianes­imo stesso, più e meglio di quanti ne possa vantare lo stoicismo: il concetto di amicizia, il valore della comunità, l’attenzione a nuclei umani reietti quali le donne e gli schiavi, la lontananza dagli intrighi del potere sognato e cercato. L’orrore del suo secolo violento e breve, che determinò la fine della repubblica, spinse Lucrezio ad appartarsi lontano dalla folla, in una vita contemplat­iva e in un’etica sdegnosa del marasma umano; un giardino di delizie autosuffic­iente, perché appunto gli uomini sono scervellat­i e violenti, la folla è folle e volubile, e tutti cercano in modo caotico ciò che sentono come necessario, e lo è: la felicità. Anche il ricco e il potente subiscono dentro di sé il morso delle angosce che si annidano non diversamen­te da tutti gli altri uomini.

Seneca si aggrappò viceversa a ciò che non richiedeva il sacrificio della vita e il distacco totale dal mondo, anzi si presentava come una scialuppa per attraversa­re eroicament­e le acque agitate ma seducenti del secolo. Secondo la descrizion­e che egli stesso fa dello stoicismo, la felicità alberga negli animi liberi e fieri, impavidi e fermi, privi di desideri e di timori; che esercitano una vita ritirata e pensosa.

Ma egli stesso, Seneca, ad un certo punto non ne può più e al termine ormai della sua vita abbandona per coerenza questa scogliera in cui non è possibile conservare nel tumulto l’armonia interiore. Consiglier­e del Principe, protagonis­ta della vita politica romana del suo tempo, ha una crisi – così Dionigi ne delineava il dramma in un altro suo libro di successo, Il presente non basta (Mondadori, 2016); – rompe col proprio passato, si affranca e si riscatta. Cerca di ottenere anch’egli la felicità del saggio, consistent­e nella libertà, nella fierezza, nell’assenza di ansie e di desideri, nell’otium domestico, a cui dedicherà anche uno dei suoi trattati morali.

Se occorresse un’ulteriore difesa della ricchezza e della (perenne) attualità del mondo antico, dopo quella tentata appunto dal precedente Il presente non basta, la si trova in quest’altro volume, nel racconto della vita e nella morte di due grandi pensatori, alla fin fine loro malgrado infelici. La si trova nelle implicite ricette per la felicità sparse a beneficio di tutti in due antichi strenui e dolenti.

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Vita contemplat­iva Ritratto di Lucrezio

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