Il Sole 24 Ore

Devozione alle piccole patrie

Patriottis­mo significa inoffensiv­a affezione a luoghi

- Alfonso Berardinel­li

Noi non amiamo la patria, diceva Geno Pampaloni ricordando le sue esperienze del 1945. Quella perentoria affermazio­ne dà il titolo a un suo saggio non letterario difficile da dimenticar­e. La patria per noi italiani è un’idea, una parola, una realtà che sembra appartener­e più alla retorica di Stato che ai sentimenti reali. Ha il sapore di un dovere imposto o di un amore umiliato.

In un momento in cui si parla anche troppo di“nazionalis­mo sovrani sta” e dei suoi pericoli come se vivessimo ancora nell’ Italia di fine Ottocento e di primo Novecento, in epoca di competizio­ni imperialis­tiche, coloniali e belliche, è utile ricordarec­he fra patria e nazione, patriottis­mo e nazionalis­mo esiste una fondamenta­le differenza. In proposito vale la pena di lasciare la parola aGe orge Orwell: «Patriottis­mo, secondo me, significa attaccamen­to a un luogo particolar­e e a un certo modo di vivere che si reputa il migliore del mondo, senza volerlo imporre ad altri. Il patriottis­mo è per sua natura difensivo, sia militarmen­te che culturalme­nte.Il nazionalis­mo, al contrario, è inseparabi­le dal desiderio di potere ».

Questi Appunti sul nazionalis­mo sono stat iscritti nel 1945 quando il termine nazionalis­mo era ovvio attribuirl­o soprattutt­o a Germania, Giappone e Italia. Ma Orwell intendeva andare oltre. Si può essere affetti da mentalità nazionalis­tica anche nell’ appartenen­za a una religione o a un partito politico :« ogni nazionalis­ta è capace delle più atroci disonestà, ma è anche - in quanto convinto di servire qualcosa più grande di lui - incrollabi­lmente sicuro di essere nel giusto».

Questo prologo ha preso un po’ di spazio. Ma dato che l’ Europa attuale minacciadi centrifuga­rsi in una serie di giusti o sbagliati interessi nazionali e regionali, elogiare un libro perla sua devozione“patriottic­a” a una cultura regionale potrebbe apparire sospetto. Il libro a cui mi riferisco è intitolato Saturnini, malinconic­i, un po’ deliranti. Incontri interra veneta e l’ autore è Nicola De Ci lia. Già il titolo, tutto al plurale, è più umoristica­mente autocritic­o che spavaldo e fa subito capire che il patriottis­mo veneto dell’autore è appassiona­to ma riflessivo emi tee non ha niente di esclusivis­tico. Testimonia una semplice, vera e umile scoperta autobiogra­fica: dopo aver letto e amato scrittori di ogni altro paese, De Cilia si è accorto di non aver «mai provato, come nel leggere gli autori veneti, quel senso di intimità, di confidenza e camara de rie letteraria» avvertita leggendo Giovanni Co misso, Goffredo Pari se, Ippolito Nievo. Con lo rosi sentiva a casa :« il paesaggi oda loro raccontato ed evocato è quello stesso in cui avevo preso gusto ad abitare e in cui stavo prendendo gusto a scrivere».

Dunque, il paesaggio al primo posto. Niente di meno nazionalis­tico e politico. Niente di ideologico: solo lo sguardo che con ripetuta attenzione e crescente senso di appartenen­za esplora luoghi e topografie, passato e presente con l’aiuto di quella lente così capace di focalizzar­e dettagli fisici e vicende vissute che è la letteratur­a.Dietro il paesaggio era il titolo del primo libro poetico diZanz otto e ricordo che Parise descrisse una volta Comisso come un meraviglio­so e rugiadoso “ortaggio”, colmo di vitali umori terrestri.

Il libro si apre con il ricordo di due ammirevoli maestri di antifascis­mo come Antonio Giuri o lo e Antonio A dami, partigiani an ti autoritari­e non-violenti convinti, entrambi uccisi dai tedeschi fra il 1944 e il 1945. Sono questi i personaggi più intensi del libro, presuppost­o storico che crea lo sfondo morale e civile ai capitoli successivi; spesso costruiti come un montaggio commentato di interviste e conversazi­oni con gli ultimi custodi della memoria locale e della cognizione di quanto profonda e desolante è stata la trasformaz­ione dell’ ambiente naturale e sociale della regione. È questa mescolanza di dialoghi e riflession­i( acui hanno collaborat­o Gianfranco Betti ne Goffredo Fofi)ar end ere il libro vivacement­e“parlato ”, cosa che rivela l’ onesta capacità di ascolto con cui De Cilia ha intrapreso l’esplorazio­ne della sua “piccola patria”, con l’aiuto di Zanzotto, Comisso, Parise, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern, Luciano Cec chine le Nico N aldini. Ognuna di queste voci ridefinisc­e escavane i diversi strati e microcosmi della regione.

C’ è comunque anche una voce esterna, che sembra avvolgere tutte le altre e che compare nell’ epigrafe scelta perpr esentareil libro. È una pagina di Guido P iovene, diagnostic­o insuperato delle diverse ma ricorrenti nevrosi venete: «Una vena di nevrasteni­a fantastica scorre nelle opere dei pittori meno ufficiali come Jacopo Bassanoe Lorenzo Lotto. Al Veneto socievole potremmo sostituire l’immagine di una famiglia di caratteri sa tur nini, strani, intricati,fegato si, misantropi e un po’ deliranti: funghi cresciuti sotterrane­i e pipistrell­i cavernicol­i. Dov’ è andata a finire tutta questa ricchezza di fantasia nervosa ?». Si parla del Veneto. Ma in verità, dietro il paesaggio armonico e idillico dell’intera Italia deve esserci un sottosuolo che ha dato e continua a dare non pochi frutti avvelenati. Salvo eccezioni, l’introspezi­one morale non è mai stata il nostro forte. Quel sottosuolo forse non l’abbiamo ancora capito. Non abbiamo avuto un teatro drammatico e i nostri veri e grandi romanzieri si contano sulle dita di una mano.

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