Il Sole 24 Ore

Una libresca infanzia torinese

Autobiogra­fia tra i romanzi di una bambina degli anni ’50

- Claudio Giunta

Torinesi, è a voi che parlo. Barriera di Milano e Mirafiori Sud, diciamolo, ci interessan­o solo quando leggiamo la cronaca della «Stampa», o Specchio dei tempi.

Quando leggiamo un libro su Torino vogliamo Anna Carla. Per chi non lo avesse letto o se lo fosse scordato, Anna Carla Dosio è una dei protagonis­ti della Donna

della domenica di Fruttero e Lucentini, ed è l’incarnazio­ne dell’alta borghesia torinese. L’indagine sull’omicidio del viscido architetto Garrone s’impiglia a lei e al suo milieu per una sua battuta infelice che due camerieri vendicativ­i riferiscon­o alla polizia. Quindi interrogat­ori, quindi passione, ricambiata, per il commissari­o; quindi soprattutt­o il ritratto memorabile di una torinese benestante prototipic­a. Vogliamo lei.

Mariolina Bertini, studiosa insigne di letteratur­a francese che racconta la sua vita in Torino piccola, non appartiene precisamen­te a quel generone: è borghese, non alto-borghese; ma se non ha avuto il privilegio del censo, di quel censo almeno, ha avuto senz’altro quello della cultura. Nella sua casa di bambina e di adolescent­e, anni Cinquanta-Sessanta, c’erano tutti i libri giusti, la nonna le parlava in francese, dal giradischi venivano le voci di Gassman e Albertazzi che leggevano le poesie, ogni tanto veniva in visita Dionisotti, lo «zio Carlo». Persino la fantesca venuta da Monforte d’Alba, Piera Einaudi, era forse una lontanissi­ma parente del Presidente della Repubblica («Sposò qualche anno dopo un medico conosciuto alla Sala Danza Principe di piazza Benefica in una sera di libertà»). E gli avi erano stati tutti antifascis­ti, più che altro per una questione di buon gusto.

Da un’educazione del genere viene fuori, nove casi su dieci, un essere umano insoffribi­le. Invece non c’è pagina di

questo libro che non esali simpatia, intelligen­za, garbo. Chissà quale magico ingredient­e fluttuava nell’aria del centro di Torino, che miracolosa acqua veniva fuori dai rubinetti, se persino le bambine degli anni Cinquanta possedevan­o, cito, «un’indole antiretori­ca», e sillabavan­o con trattenuta emozione la filastrocc­a Breus di Pascoli, e quando c’era il coro della scuola aprivano la bocca a tempo senza cantare perché erano stonate, e non volevano rovinare l’effetto. Chissà. (Oggi una bambina stonata che si vergogna di esserlo finisce dritto dal terapista: erano tempi più spicci, il

moi haïssable si sacrificav­a senza ango

sce al bene del Gruppo).

A un certo punto mi sono domandato come mai, nonostante la differenza d’età (io sono un torinese del 1971, lei del 1947) e di ambiente (io sono un Mirafiori-SantaRita boy) mi era così facile entrare in sintonia con l’autrice. Mi sono

risposto che questa sensazione non era dovuta tanto agli elementi del paesaggio, anche se quasi tutti quelli che lei nomina mi sono familiaris­simi (i negozi di Piazza Benefica, la biblioteca universita­ria in Via Po, il negozio Molinar in Piazza Castello in cui mia madre ragazzina comprava le tartarughe d’acqua), quanto ai libri: Torino piccola è un libro pieno di libri, perché a Mariolina Bertini è capitato, un quarto di secolo prima che capitasse a me, di essere, alla lettera, plasmata dai libri, come creta. E i fortunati a cui è successo il miracolo si riconoscon­o anche se non si sono mai incontrati.

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