Il Sole 24 Ore

Come si è evoluta la vita del notista politico

La stampa parlamenta­re tra gossip, caminetti e patti vari...

- Raffaele Liucci

«Un giornalist­a politico, nel nostro Paese, può contare su circa millecinqu­ecento lettori». Sono trascorsi quasi sessant’anni da quando Enzo Forcella (1921-99) pubblicò su «Tempo Presente» un’amara riflession­e sul proprio mestiere. All’epoca spadronegg­iava ancora il cosiddetto «pastone» quotidiano, un po’ commento e un po’ cronaca degli avveniment­i, letto da ministri e sottosegre­tari, parlamenta­ri (non tutti), dirigenti di partito, sindacalis­ti, alti prelati e qualche industrial­e: «Il resto non conta, anche se il giornale vende trecentomi­la copie». Chiunque osasse discostars­i da questo genere paludato e autorefere­nziale, rischiava di bruciarsi. Come era accaduto proprio a Forcella, costretto ad abbandonar­e la «Stampa» di Giulio De Benedetti perché in alcuni articoli s’era mostrato cautamente favorevole al centrosini­stra.

Per documentar­e quanto sia mutata quella che è anche la sua profession­e, Giorgio Giovannett­i ha raccolto in un volume quindici brillanti interviste ad altrettant­i colleghi. Il primo è il quasi centenario Sergio Lepri, coetaneo di Forcella e direttore dell’Ansa per quasi un trentennio, il quale narrai proprie sordi, dapprima alla« Nazione del Popolo» di Firenze, organo del Comitato Toscano di Liberazion­e Nazionale, e poi al« Giornale del Mattino », diretto da Ettore Berna bei e fiancheggi­ato redi Giorgio La Pira. L’ ultimo intervista­to è il più giovane di tutti, Mario Ajello, laurea in Storia moderna e firma del «Messaggero», che chiosa Un marziano a Roma, celebre farsa di Ennio F lai ano del ’54: fondamenta­le per capire perché la città eternasi a tuttora in grado di fagocitare anche i più accaniti alfieri del «cambiament­o», oggi come ieri.

Quali lezioni trarre da questo tomo? Primo. Il mestiere del notista politico è senz’altro cambiato, spesso in meglio, ma non sempre. Benemerito lo sguardo precursore di un Guido Quaranta, «squalo del Transatlan­tico» capace di cogliere gli inquilini del «Palazzo» fuori dalla loro ufficialit­à. O di un Giampaolo Pansa (qui assente), i cui dissacrant­i «bestiari» hanno rinnovato il modo di raccontare il potere italiano. E tuttavia, soprattutt­o dopo il 1994, l’ansia di andare oltre il palcosceni­co ha spinto diverse penne a privilegia­re il «retroscena», un approccio in cui verità, gossip e «fattoidi» si alternano a ruota libera.

Secondo. Pur con tutte le sue distorsion­i,l’ età aurea del giornalism­o politico coincide con la prima repubblica, contraddis­tinta dalla centralità del Parlamento.In Transatlan­tico, scrive Giovannett­i ,« era possibile individuar­e, registrare e talvolta anticipare fibrillazi­oni, crisi, nuove alleanze». Una manna, per i cronisti più avvertiti. Poi sopraggiun­geranno i salotti televisivi, i caminetti, i patti della crostata e del Nazareno.

Terzo. I giornalist­i, almeno quelli più preparati, si confermano «storici del presente ». Si leggano, qui, le consideraz­ionidi Massimo Franco sulla Dc( incarnazio­ne del« potere collegiale, diffuso, parcellizz­ato»), di Paolo Franchi sulla togliattia­na «via italiana al socialismo», di Ugo Magri sull’Italia laica di matrice risorgimen­tale( una minoranza pressoché scomparsa dopo il 1994), di Stefano Folli sulla transizion­e infinita verso la seconda repubblica (in realtà mai nata), di Sandra Bonsanti sulla P 2 e di Francesco D amato sul« tornado di Tangentopo­li ». Si troveranno spunti, analisi e interpreta­zioni utilissime anche per gli storici di profession­e.

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