Libertà di ricerca o anarchia?
«Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?» si chiedeva il matematico e meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz intitolando così una sua conferenza del 1972 sulla teoria del caos. Sicuramente la rivelazione shock del ricercatore cinese Jiankui He durante il secondo summit internazionale di Genome Editing che si è tenuto ad Hong Kong alla fine di novembre ha scatenato un tornado di critiche che ha investito l’intero pianeta e che potrebbe avere conseguenze devastanti sull’intero ecosistema della ricerca su una delle frontiere più affascinanti e promettenti della terapia genica.
Da qui la levata di scudi dei ricercatori contro un esperimento pericoloso ed inaccettabile di modificazione del corredo genetico in alcune coppie di gemelli. Ho volutamente utilizzato il termine «esperimento» e non «sperimentazione» perché di questo si è trattato: di un esperimento condotto non in vitro o su animali ma direttamente su esseri umani inconsapevoli di quello che potrà loro succedere, al di fuori di qualsiasi sperimentazione clinica autorizzata e controllata, e quindi condotto senza seguire il metodo scientifico, strumento importantissimo di cui la comunità scientifica mondiale si è da tempo dotata proprio per evitare derive di questo tipo.
Da ricercatore che si occupa da decenni di terapia genica non ho potuto che farmi alcune domande che voglio condividere con voi lettori.
Dov’è il lavoro scientifico sottoposto a peer review della comunità scientifica internazionale? Dove sono i dati preclinici solidi e riproducibili che costituiscono il razionale per la traslazione della ricerca dal laboratorio all’essere umano? Dov’è la sperimentazione clinica approvata dagli enti regolatori che tutela i partecipanti allo studio?
Probabilmente scopriremo meglio i dettagli di questi esperimenti grazie alle indagini che saranno condotte per ordine dello stesso governo cinese, che ha li ha subito bloccati in quanto anche in Cina è vietato impiantare embrioni geneticamente modificati. Quello che però sappiamo è che il suo intervento non era rivolto a curare una patologia grave presente negli embrioni, bensì a manipolare degli embrioni perfettamente sani per prevenire, forse, un eventuale contagio da HIV di cui il padre è portatore, seppure con una carica virale così bassa da non essere neppure identificabile. Una sorta di vaccinazione, insomma, ottenuta attraverso la modificazione del gene CCR5 che, se da un lato potrebbe fornire maggior resistenza al virus, dall’altro potrebbe dare origine a problemi di salute molto più seri, essendo implicato anche in processi relativi all’apprendimento e alla memoria, secondo alcuni studi.
Naturalmente ci auguriamo che le piccole Lulu e Nana possano avere una lunga vita sana e senza conseguenze, ma di certo quello che ci preoccupa (e parlo anche a nome dei tanti miei colleghi che dedicano in modo serio e ineccepibile la loro vita scientifica alla ricerca sull’editing genetico) sono le possibili conseguenze che questo esperimento può avere.
Il rischio che si possa fare d’ogni erba un fascio bloccando tutta la ricerca su questo filone è tutt’altro che remoto, come sottolineato dai tanti interventi che ho seguito in questi giorni. Così come è comprensibile la paura che notizie di questo genere scatenano nei pazienti e nei detrattori di questo tipo di ricerche, che sono già molto controverse per le loro implicazioni etiche più che scientifiche.
Per questo è opportuno fare chiarezza sul fatto che ad essere sbagliato e condannabile non è l’utilizzo di tecniche di gene-editing attraverso la tecnologia CRISPR, che è già utilizzata e lo sarà sempre più in sperimentazioni cliniche ufficiali e controllate per curare malattie getiche gravissime in esseri umani «adulti», ma il modo in cui l’esperimento è stato condotto, con una tecnica recente che ad oggi è ancora prematuro utilizzare sugli embrioni per la scarsa conoscenza dei possibili effetti collaterali sulla prole.
Anzi, oggi più che mai è non solo utile, ma addirittura indispensabile, che le ricerche sul genome-editing sugli embrioni vengano consentite e finanziate, permettendo agli scienziati di produrre tutti i dati preclinici necessari per conoscere a fondo e controllare la tecnologia e i suoi potenziali effetti sull’uomo per garantirle quella sicurezza che, accanto all’efficacia, costituisce la conditio sine qua non per l’applicazione clinica, che deve essere, lo ribadisco con forza, motivata esclusivamente da fini realmente terapeutici.
Non si può (e non sarebbe pure neppure giusto) bloccare il progresso ma è dovere di tutti, governi ed enti regolatori in primis, accompagnare, regolamentadola, l’innovazione di tecnologie, standard e metodi di valutazione, proprio per evitare che ricercatori senza scrupoli facciano ricerche di nascosto e senza controllo sugli stessi esseri umani che vogliamo tutelare.
Un conto è la libertà di ricerca, che è indispensabile difendere se non si vuol far morire la ricerca stessa, un altro è l’anarchia scientifica.