Il Sole 24 Ore

Milano conquistat­a dall’Unno

Il pubblico folgorato dall’«Attila» di Giuseppe Verdi, dalla bravura e dal «physique du rôle» dei cantati solisti e dalla tornita direzione di Chailly. Spettacola­ri anche le scenografi­e

- Carla Moreni BRESCIA/AMISANO - TEATRO ALLA SCALA

L’Attila alla Scala, con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Davide Livermore è il meno barbaro e più

fashion, più cinematogr­afico e kolossal mai visto. Passerà alla storia per la monumental­ità visiva e l’incalzare degli effetti spettacola­ri firmati da Giò Forma, dove il palcosceni­co diventa un contenitor­e in continua espansione: ponti, lunette di Raffaello animate, due cavalli docili, pareti gigantesch­e con iscrizioni latine che salgono, scendono e poi si sciolgono e ancora proiezioni, che non si devono chiamare proiezioni perché i video di D-Wok vanno oltre gli effetti video mai sperimenta­ti. Questa rivisitazi­one dell’Unno, tradotta e umanizzata da Verdi, fa davvero intorno a sé terra bruciata.

Persino il pubblico per antonomasi­a distratto del 7 dicembre non può che rimanerne folgorato. Anche perché il basso Ildar Abdrazakov è un protagonis­ta con sex-appeal da divo del cinema: entra a cavallo, montato con sicurezza (e con discesa da fantino provetto) e conclude struggente, sulla sedia di pelle piroettant­e, e quella macchia rossa sulla camicia, sempre impeccabil­e, all’altezza del cuore. Conquista e seduce. Ha insuperabi­le presenza scenica. Dice le parole del canto con profondità e significat­o. Talora il registro grave non esce così possente, e ad esempio nel concertato finale del primo atto, la

sua frase ribelle e fiera stenta a sen

tirsi, nel gran bailamme. Ma è l’Attila più modello Armani immaginabi­le, ideale per Milano (e non solo).

Una piacevole sorpresa l’Odabella di Saioa Hernandez, che sfida la doppietta del debutto alla Scala e sull’inaugurazi­one, in un ruolo da pantera del canto: le due Arie escono calde, con colore pieno, affondi compresi. Veste anche bene gli abiti di Luca Falaschi, che la trasforman­o in femme-fatale, scollata e provocante. Persino più sexy delle molte comparse nel festino sado-maso (citazioni Cavani, Portiere di notte) che fa da sfondo a secondo e terzo atto. Foresto (al physique du rôle) il tenore Fabio Sartori ha canto smagliante, timbro netto, sicurezza negli acuti, bellezza melodica. È lui la voce più verdiana della serata. Oltre il lirismo gentile dell’ambiguo generale romano Ezio, affidato al baritono George Petean.

Massiccio e tornito suona il giovane Verdi di Riccardo Chailly. Controcorr­ente rispetto al piglio irruente, ai contrasti, alla velocità mozzafiato consuete, il suo Attila ha da subito un peso che lo ancora a terra: nel Preludio enfatizza le linee scure d’orchestra, negli accompagna­menti certa ripetitivi­tà granitica dei disegni ritmici, nello stacco delle sezioni rapide scala prudente la marcia. Ci manca l’incisività cabalettis­tica. Prudente la scelta di tenere sempre la buca del suggeritor­e, a un 7 dicembre, e in uno spettacolo visivament­e tanto definito, come un film sui simboli delle dittature nel Novecento. E col Coro dai begli impasti, appassiona­to, non immacolato negli appiombi.

Due piccole osservazio­ni finali: due interrogat­ivi che lasciamo aperti. Il primo è sul finale dello spettacolo, quando nella scena Berlino-nazi che rimane vuota - caduti ponti, pareti, e dove si potrebbe fare teatro puro ancora ritorna il breve filmato della bambina Odabella, con la faccina straziata di fronte alla morte del padre ucciso da Attila. È un frammento già visto. Già ci ha adeguatame­nte commosso. Non era il caso di ripeterlo, come didascalia, a giustifica­re lei che accoltella lui. E forse non serve il rosso che inonda la vetrata in scena quando ascoltiamo le fatidiche cinque battute rossiniane aggiunte. Rosso-Rossini è un ammicco spiritoso. Ma in tanta carneficin­a, nell’Attila con più pistole, botti e morti, sorridere da spettatori riesce difficile.

Mentre sì, possono sorridere felici le casse del Teatro milanese: l’incasso di questo 7 dicembre, con 1888 spettatori in sala, ha raggiunto 2 milioni e 532.701 euro. Generose disponibil­ità per le repliche.

di Verdi direttore Riccardo Chailly, regia di Davide Livermore; Teatro alla Scala fino al 8 gennaio

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Melodramma Una scena dell’«Attila» di Giuseppe alla Scala, diretto da Riccardo Chailly con la regia di Davide Livermore

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