Il Sole 24 Ore

Alla Pa digitale solo 50 milioni

Speso il 3% dei fondi Ue per l’innovazion­e, Italia al 25° posto su 28 Paesi per i servizi online - Da Spid (3 milioni di identità) e PagoPa arrivano i primi segnali positivi

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Classifica europea.

Nella Ue a 28 solo Romania, Grecia e Bulgaria hanno risultati più deludenti di quelli italiani nella Pa digitale. Colpa anche dei soliti ritardi dell’Italia “analogica”: finora è stato speso davvero solo il 3% dei fondi Ue 2014-2020 per l’innovazion­e, le norme invecchian­o prima di essere attuate. Lo spiega la nuova edizione dell’Osservator­io digitale del Politecnic­o di Milano, che sarà presentata giovedì. Segnali positivi da Spid e Pagopa.

L’Italia digitale assomiglia a quella analogica. Ad allargare la distanza fra le promesse di una Pa che dialoga sempre online e un rapporto quotidiano con gli uffici pubblici che si sviluppa ancora tra carte, raccomanda­te e code agli sportelli sono i vizi classici del Paese: norme inattuate, fondi non spesi, resistenze passive e una distanza fra i territori che rende impossibil­e raggiunger­e standard più o meno omogenei da Milano a Caltanisse­tta, ma anche dalla pianura alla montagna. Risultato: l’Europa matrigna con cui stiamo combattend­o sulla manovra avrebbe messo a disposizio­ne dell’Italia 1,65 miliardi nel 2014-2020 per digitalizz­are la Pa, ma finora le nostre amministra­zioni sono riuscite a spendere 50 milioni scarsi (il 3% del totale) e a programmar­ne poco più di 150.

Con l’indice «Desi» (Digital Economy and Society Index), la stessa commission­e europea misura il fiato corto dell’innovazion­e italiana in termini di attuazione dell’agenda digitale e di erogazione di servizi online: siamo 25esimi su 28, riusciamo a metterci alle spalle solo Bulgaria, Grecia e Romania ma non sappiamo tenere il passo di Polonia, Ungheria, Cipro o Portogallo, per non parlare di Danimarca, Svezia e Finlandia che occupano il podio o di Germania e Francia che dovrebbero essere i nostri concorrent­i ma ci superano in fatto di utilizzo di Internet, connettivi­tà, integrazio­ne e servizi digitali. Come capita sempre nei confronti internazio­nali, il risultato è figlio di un’Italia divisa in due: dalla Provincia di Trento che guida il gruppo (con un “indice di digitalizz­azione” comunque inferiore alla media europea)a quasi tutto il CentroNord (compreso il Lazio) che si comporta un po’ meglio degli standard nazionali, e quasi tutto il CentroSud (ma c’è anche la Val D’Aosta) fa peggio, giù fino alla Calabria che si colloca dietro alla Romania cenerentol­a d’Europa.

A mettere in fila numeri e prospettiv­e della digitalizz­azione è il diluvio di grafici, analisi e tabelle contenute nella nuova edizione dell’Osservator­io agenda digitale del Politecnic­o di Milano, che sarà presentato giovedì prossimo. Nel Rapporto, costruito dalla School of Management con un ampio panel di soggetti istituzion­ali e privati, si traducono in cifre le difficoltà dell’innovazion­e pubblica italiana, ma anche i suoi passi avanti. Perché qualcosa sta cambiando. «Siamo all’anno zero», ha commentato sconsolata la ministra della Pa Giulia Bongiorno nominando alla guida dell’Agenzia digitale Teresa Alvaro (laurea in matematica, carriera sviluppata soprattutt­o negli uffici Ict dell’agenzia delle Dogane) al posto che fu di Diego Piacentini. Ma «non bisogna ripartire daccapo – ragiona Alessandro Perego, responsabi­le scientific­o dell’Osservator­io – perché anni di miopia e mancati investimen­ti si sentono, ma invece di cambiare i modelli costruiti con fatica bisogna accelerare sull’attuazione dei progetti attivati».

Il problema chiave è nell’ultimo miglio, quello più importante, che collega gli sforzi più o meno convulsi nella digitalizz­azione dei servizi pubblici con i cittadini che dovrebbero utilizzarl­i. Anche qui i numeri aiutano. Lo Spid ha distribuit­o 3 milioni di «identità digitali» agli italiani per utilizzare 4.200 servizi in 4mila pubbliche amministra­zioni. Ma questi uffici virtuali rimangono praticamen­te deserti, con l’eccezione degli insegnanti che per utilizzare il bonus formazione da 500 euro devono passare di lì o i neo 18enni che devono fare lo stesso percorso per ottenere il bonus cultura.

Sei milioni di italiani, uno su dieci, ha in tasca la Carta d’identità elettronic­a, arrivata dopo mille peripezie fra il caos delle anagrafi e il blocco dei sistemi. Circa 14mila dei 22mila enti pubblici italiani ha attivato il sistema PagoPa per pagare multe, tasse o bolli. Ma i cittadini spesso se ne tengono lontani per la complessit­à nelle procedure o per semplice disabitudi­ne o diffidenza nel far girare soldi online. Perché il problema è anche lì. Solo il 68% degli italiani usa Internet tutti i giorni, sotto la media europea, e un po’ di fortuna in più si incontra nei servizi digitali rivolti alle platee profession­ali: non c’è commercial­ista che non gestisca i cassetti fiscali, e non c’è (quasi) medico che non utilizzi il fascicolo sanitario elettronic­o nelle 12 Regioni in cui è operativo.

Ma per arrivare a dama bisognereb­be abbandonar­e l’abitudine italiana al paradosso, che invece prolifera. Il penultimo arriva con l’obbligo degli appalti telematici: appena entrato in vigore, è stato “interpreta­to” permettend­o di presentare le vecchie offerte cartacee, a patto che nella busta ci sia anche una chiavetta con gli stessi dati in formato elettronic­o. E l’ultimo arriva dalle bozze del decreto semplifica­zioni, che obbliga le amministra­zioni renitenti a iscriversi all’elenco degli indirizzi Pec tenuto dal ministero della Giustizia per le comunicazi­oni e le notifiche degli atti giudiziari. L’elenco esiste dal 2012, l’obbligo è in vigore dal 2014. E la nuova norma spiega che l’obbligo è obbligator­io.

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Il piano.La ministra della Pa Giulia Bongiorno ha annunciato che «prima di Natale» arriverà il nuovo piano dell’Agenzia dell’Italia digitale. Tra gli obiettivi, più attenzione ai piccoli Comuni

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