Società a caccia di fashion lawyer
La richiesta di tutela legale dei marchi della moda aumenta grazie alla spinta delle tecnologie e della globalizzazione - La lotta alla contraffazione punta alle vendite sul web e sui social
Cresce l’attenzione verso i giuristi specializzati nelle questioni legali del settore moda: dalla proprietà dei marchi alla privacy. E si moltiplicano i corsi ad hoc.
Come tutelare un capo d’abbigliamento disegnato da uno stilista in sinergia con un algoritmo in grado di prevedere cosa piacerà ai consumatori? E come si regola la “vendita” di un prodotto il cui disegno può essere scaricato dall’utente sul proprio computer e poi stampato in 3D comodamente a casa? E come porre fine alla vendita sui social di prodotti contraffatti da parte di un operatore cinese? Sono diversi e articolati gli interrogativi d’impronta giuridica che nascono osservando le dinamiche della moda. Un settore multisfaccettato e, sotto la spinta della globalizzazione e della tecnologia, sempre più complesso.
Di pari passo con la crescita di questa complessità è aumentata la richiesta di fashion lawyer: avvocati che, forti di una conoscenza approfondita del settore e delle sue dinamiche, riescano a gestire le questioni legali in modo efficace e spesso trasversale.
I temi, infatti, spaziano dalla tutela del marchio al diritto commerciale, fino alla regolamentazione della privacy e si intrecciano tra di loro.
Nelle agende dei Ceo della moda internazionale c’è, innanzitutto, la tecnologia: una sfida sul piano creativo, produttivo e distributivo. Ma anche legale: «L’innovazione è materia di lavoro e deve essere fonte di ispirazione per l’avvocato, che deve avere la capacità di applicare il diritto esistente in un’ottica nuova e proporre all’azienda strumenti giuridici che la invoglino a implementare le nuove tecnologie, andando oltre le aree grigie che frenano i legal counsel interni», spiega Milena Prisco, senior associate di Cba che di recente ha organizzato il convegno «Fashion, tech and law» nella sua sede milanese.
La tutela della proprietà intellettuale è un altro tema chiave per le aziende della moda che, specialmente nei casi dei gruppi più grandi, con fatturati miliardari e diversi brand, hanno una nutrita divisione legale interna. «Il nostro ruolo è quello di “facilitatori” e, quindi, di rendere cose possibili - commenta Romain Dourlen, lead Ip counsel del gruppo Richemont -; in cima alla lista delle priorità del mio dipartimento ci sono l’anticontraffazione e la tutela del brand». Operando in uno scenario globalizzato, proprio per far fronte alle differenze tra legislazioni, le grandi aziende si appoggiano a consulenti esterni: «In particolar modo nell’affrontare casi di contenzioso legale, lavoriamo in sinergia con realtà che conoscono le regolamentazioni locali», chiosa Dourlen.
In Italia gli studi che operano nel segmento fashion law sono in aumento. Tra questi c’è Spheriens, che si occupa di tutela della proprietà intellettuale sia sul piano civile sia penale: «Lo studio opera in ogni ambito del diritto che possa rilevare nella tutela dei patrimoni immateriali delle imprese, con uno speciale focus sui settori della moda, che per noi è in continua crescita, e dei beni di lusso» spiega Pier Luigi Roncaglia, managing partner. Di recente lo studio ha assistito la Salvatore Ferragamo in una causa presso il Tribunale di Udine:la sentenza, che dà ragione all’azienda fiorentina, ha sancito per la prima volta la rilevanza penale del “customizing” - cioè della personalizzazione di un prodotto utilizzando loghi o marchi di altri brand - sotto il profilo del reato di contraffazione.
Di contraffazione si occupa, tra le altre cose, anche lo studio Tsc, specializzato nella tutela a tutto tondo di piccoli marchi: «Lavoriamo con brand emergenti, start-up e aziende con un fatturato massimo di 30 milioni - spiega il fondatore Giampaolo Todisco -, realtà che spesso trovano difficoltà nelle procedure di registrazione del marchio o che possono essere messe in ginocchio dalla circolazione di prodotti falsi».