SUL FISCO 4.0 C’È UN DISAGIO DA NON SOTTOVALUTARE
Giusto il tempo per digerire il cenone di fine anno. Poi milioni di partite Iva scopriranno se lo scenario apocalittico paventato da molti diventerà realtà oppure se il sistema supererà la prova. Forse non si esagera dicendo che l’introduzione dell’obbligo di emettere, ricevere e conservare la fattura in formato elettronico rappresenti l’avvio della “fase 4.0” del Fisco telematico (a luglio ci sarà anche l’invio dei corrispettivi), dopo che a partire dalla fine degli anni 90 si approdò gradualmente all’invio online di tutte le dichiarazioni fiscali, poi ai pagamenti telematici e alla trasmissione via internet di ogni dato fiscale.
La fatturazione elettronica avrà un impatto fortissimo sulle imprese, specie sulle medio-piccole, ma, questo è certo, un impatto ancor più rilevante avrà sui professionisti perché, ora come allora, sarà il rapporto tra intermediari, Fisco e contribuenti a uscirne radicalmente cambiato. Peraltro, in una direzione non ancora interamente svelata.
Il malessere di molti professionisti arriva da lontano e trova una motivazione solida anche nella crescita esponenziale di queste attività di “corvée fiscale”, come molti definiscono l’invio al fisco di milioni e milioni di dati tributari. Una fornitura fatta gratuitamente e con un limitato riconoscimento da parte della macchina pubblica. Uno schema che, paradossalmente, finisce
Twitter e la rete non sono lo specchio del Paese, né tanto meno la voce diffusa dei professionisti. Ma non c’è dubbio che, in qualche misura, ne indichino l’umore. Che nel caso della fattura elettronica resta piuttosto nero. E, pure facendo la tara della naturale tendenza dei social a fare prevalere le negatività, non si può ignorare il “mal di pancia” dei professionisti - a volte più rassegnato, altre volte più rabbioso - sulla fattura elettronica.
Pochi credono all’idea che questo nuovo adempimento possa essere utile contro l’evasione (2 miliardi di maggior gettito), cosa riconosciuta persino dall’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, che già lo scorso anno segnalava al governo il rischio che l’introduzione della fattura elettronica non riducesse l’evasione. Non va sottovalutata l’unanimità dei giudizi dei molti che lamentano, di volta in volta, la scarsa chiarezza delle norme, la complessità del sistema, gli elevati costi di gestione e per i software, i problemi di inefficienza delle infrastrutture (internet e piattaforma Sdi), le incognite sulla riservatezza del patrimonio informativo, come la débacle dello spesometro ammonisce, le difficoltà, i ritardi.
Qui, a dirla tutta, colpisce il rischio - ormai quasi una certezza - di andare in affanno su un adempimento introdotto un anno fa (legge di Bilancio 2018, governo Gentiloni) e dopo il rodaggio della fattura elettronica obbligatoria per la Pa (dal 31 marzo 2015). L’agenzia delle Entrate è ancora alle prese con la soluzione dei problemi sollevati dal Garante della Privacy solo qualche settimana fa. Il confronto in corso tra amministrazione e Authority sta rallentando tutta una serie di attività che proprio in questi giorni si sarebbero dovute svolgere per agevolare o almeno rendere meno convulso l’avvio del nuovo obbligo.
Il governo ha respinto al mittente ogni ipotesi di proroga e/o partenza graduale, concedendo solo una moratoria sulle sanzioni nei primi sei mesi. Resta il fatto che la leggerezza nel gestire aspetti centrali non è normale e, piaccia o no, si trasforma in un’arma che viene concessa ai detrattori del sistema.