Il Sole 24 Ore

Da visure e bilanci un aiuto alla difesa

La Corte Ue nega la possibilit­à di configurar­e responsabi­lità oggettiva

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In base alla giurisprud­enza nazionale, il cammino per dimostrare la buona fede del fornitore appare irto di ostacoli in quanto, per non dover corrispond­ere l’Iva (mai ricevuta), egli deve non solo dimostrare di non aver fatto parte della frode, ma anche di aver espletato una serie d+i controlli nei confronti del cliente secondo criteri di “normale diligenza”, non previsti e disciplina­ti da alcuna norma.

A parziale aiuto dei contribuen­ti in buona fede è intervenut­a la Corte Ue la quale, pur affermando i principi della diligenza e dell’accortezza, ha stabilito che l’applicazio­ne dei medesimi non può portare all’istituzion­e di un sistema di “responsabi­lità oggettiva” nei riguardi del soggetto che, inconsapev­olmente ha partecipat­o ad un illecito (causa C-624/15, Litdana). Secondo i giudici comunitari, infatti, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolari­tà o evasione, un operatore accorto potrebbe vedersi obbligato ad assumere informazio­ni al fine di sincerarsi della sua affidabili­tà. Tuttavia, l’amministra­zione fiscale non può esigere in maniera generalizz­ata che il soggetto faccia delle verifiche al fine di assicurars­i che il cliente abbia adempiuto regolarmen­te ai propri obblighi dichiarati­vi, documental­i e di pagamento dell’imposta. Spetta alle autorità tributarie, infatti, effettuare i controlli necessari presso gli operatori al fine di rilevare irregolari­tà ed evasioni in materia Iva.

Queste conclusion­i sono suffragate dal fatto che, in ogni caso, il fornitore ha una visione limitata della realtà economica del proprio cliente e non ha i mezzi investigat­ivi in grado di appurare la sussistenz­a del requisito di esportator­e abituale come li ha o li avrebbe, invece, il Fisco.

Quali dovrebbero essere quindi i controlli e le verifiche che i fornitori possono effettuare? La risposta deriva necessaria­mente analizzand­o la documentaz­ione che il soggetto può normalment­e reperire, vale a dire, la visura camerale dell’azienda cliente nonché i bilanci depositati in caso di società di capitali.

Dalla visura camerale, infatti, è possibile verificare l’anno di costituzio­ne della società, la consistenz­a patrimonia­le della stessa (capitale sociale), il codice attività, la presenza di sedi e depositi e, ove aggiornato, il numero degli addetti. Questi elementi potranno costituire la prova circa l’esistenza di una struttura aziendale e la coerenza della stessa all’attività svolta. Inoltre, si potranno verificare i nominativi dei soggetti a cui sono demandati i poteri gestori e i soci della stessa.

Dai bilanci depositati è possibile accertare la consistenz­a dell’attività svolta. Secondo alcuni, in consideraz­ione del fatto che lo status di esportator­e viene acquisito in base alle esportazio­ni effettuate nell’anno precedente rispetto al totale del volume d’affari conseguito (rapporto maggiore del 10%), il fornitore potrebbe richiedere informazio­ni circa il relativo dato inserito nella dichiarazi­one Iva (quadro VC) o la ricevuta di presentazi­one della dichiarazi­one Iva. Tuttavia, si tratta di una richiesta che il cliente potrebbe legittimam­ente disattende­re.

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