Il Sole 24 Ore

Assistenza ai familiari con disabilità grave

- Dario Aquaro Valentina Melis

Genitori, coniugi, componenti dell’unione civile, conviventi di fatto, parenti o affini entro il secondo grado (o entro il terzo, in alcune circostanz­e). Sono i lavoratori dipendenti che possono fruire dei permessi retribuiti per assistere le persone con disabilità. Permessi garantiti dalla legge 104/1992, che spettano anche ai lavoratori disabili, e che richiedono il rispetto di una serie di parametri. Restano esclusi gli autonomi, i parasubord­inati, i lavoratori a domicilio, gli agricoli a tempo determinat­o (“a giornata”) e gli addetti ai lavori domestici e familiari.

La disabilità deve essere grave

La legge-quadro del 1992 «per l’assistenza, l’integrazio­ne sociale e i diritti delle persone handicappa­te» definisce i requisiti richiesti per fruire dei permessi: innanzitut­to, la condizione di handicap grave della persona da assistere, riconosciu­ta dalla commission­e medica integrata Asl/Inps, e l’assenza di un ricovero a tempo pieno. Anche se per quest’ultima ipotesi è prevista un’eccezione: ad esempio, nel caso in cui il ricoverato abbia comunque il bisogno (documentat­o dai sanitari della struttura) dell’assistenza di un genitore o di un familiare.

Secondo le ultime statistich­e dell’Inps, sono oltre 50mila i beneficiar­i dei permessi «104» personali e oltre 360mila i lavoratori che ne fruiscono per assistere familiari. L’agevolazio­ne concessa dalla normativa consiste in tre giorni di permesso mensile, frazionabi­li in ore. Ma sono previste alternativ­e per i genitori di bambini fino a dodici anni (prolungame­nto del congedo parentale con indennità di retribuzio­ne) o fino a tre anni (permessi orari retribuiti), così come per i disabili stessi (riposi orari giornalier­i).

I «confini» dell’assistenza

Quali sono le attività di assistenza che giustifica­no la richiesta dei permessi? Gli eventuali abusi devono essere valutati caso per caso, così su questa materia si sono più volte pronunciat­i i giudici.

La giurisprud­enza prevalente ritiene che non possano rientrare nell’attività di assistenza al familiare disabile – da svolgere quindi nei giorni di permesso – attività non strettamen­te legate alla “cura materiale” della persona. Si tratta di azioni ordinarie come lavare, stirare o fare la spesa, che potrebbero essere svolte in altri momenti della giornata, fuori dall’orario lavorativo e senza richiedere al datore i permessi «104».

Alcune recenti pronunce della Cassazione, però, sembrano invertire la rotta (si vedano le sentenze 30676 del 27 novembre e 23891 del 2 ottobre 2018, commentate sul Sole 24 Ore del Lunedì del 3 dicembre): la Corte ha ritenuto illegittim­o il licen- ziamento di lavoratori che avevano usato i permessi per sbrigare commission­i legate a specifici interessi del soggetto disabile assistito. Nel perimetro dell’assistenza al familiare disabile rientrano infatti – secondo questo orientamen­to innovativo – anche le attività che la persona assistita non è in grado di compiere in autonomia.

Le conseguenz­e dell’abuso

Chi fruisce dei permessi «104» senza averne diritto, o per svolgere attività diverse dall’assistenza, perde il diritto a beneficiar­e dei permessi stessi (articolo 33, comma 7-bis della legge 104/1992) e, sul piano disciplina­re, può andare incontro al licenziame­nto. Gli abusi possono comportare conseguenz­e anche penali, configuran­do, nei casi più gravi, il reato di truffa ai danni dello Stato (è l’Inps che rimborsa ai datori le spese per la retribuzio­ne e per i contributi dei lavoratori in permesso).

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