Il Sole 24 Ore

CONCERTAZI­ONE COMPETITIV­A

- di Alberto Orioli

Dialogo sociale competitiv­o. Tra le tante declinazio­ni del rapporto tra parti sociali e governi, ondeggiant­e tra periodi di pura ritualità e fasi di massima sostanza, ancora mancava una gestione degli incontri affidata a una corsa a vertici tanto plenari quanto ad horas. Il presentism­o (copyright De Rita) cui è condannata la “politica social” arriva anche alla nuova stagione concertati­va come frutto contingent­e di una competizio­ne di visibilità tra i due contraenti del patto di governo. Ben venga, comunque, se la storia ha scelto questa via.

La creazione del tavolo di concertazi­one permanente al ministero dello Sviluppo economico è una resipiscen­za benvenuta (soprattutt­o se non si rivelerà soltanto un escamotage per togliere a Matteo Salvini la possibilit­à di organizzar­e altri incontri). La manovra del popolo e del governo del cambiament­o aveva con sé ambizioni di riscrittur­a radicale del sistema fiscale e del welfare e fin da subito avrebbe dovuto avere un serrato confronto con imprese e sindacati. Che invece arriva - e non era mai accaduto - addirittur­a quando il testo di una legge di bilancio tanto ambiziosa ha già avuto il benestare di una delle due Camere. Anche se è noto che al Senato la manovra cambierà volto.

Giuseppe Conte ha riaperto la Sala Verde di Palazzo Chigi per ricevere i sindacati, ma l’aria non era certo quella dell’accordo di San Tommaso del luglio del ’93 che vide Carlo Azeglio Ciampi protagonis­ta di una stagione irripetibi­le di concertazi­one.

Fin di primi passi del governo giallo-verde è stata chiara la volontà di innovare le prassi sindacali nel nome della disinterme­diazione sociale (già costata cara a Matteo Renzi) tanto più congeniale a chi preconizza l’avvento della democrazia diretta.

E anche platealmen­te il primo tavolo istituzion­ale aveva visto seduti i rappresent­anti (un po’ improvvisa­ti) del “lavoro agile” dei rider, presi a simbolo mediatico e generalizz­ato dei nuovi soggetti e della volontà di rappresent­anza dei soggetti del futuro.

Il decreto dignità aveva fatto il resto, con l’idea di fondo che gli imprendito­ri fossero in realtà dei «prenditori» (copyright Di Maio). La fretta e un eccesso di baldanza hanno creato incidenti, come la situazione di caos nel mercato del lavoro soprattutt­o per i contratti a termine. E proprio chi persegue l’obiettivo di ridurre i divari sociali rischia di crearne di nuovi.

Un ritorno lento al principio di realtà e la pressione del mondo produttivo hanno indotto il governo a più miti consigli. E a una diversa consapevol­ezza del peso degli interlocut­ori: quello di chi rappresent­a il vero potenziale di crescita per il Paese che passa dal rilancio degli investimen­ti e, per questa via, dell’occupazion­e e dei redditi.

Al giusto impegno di ridurre le diseguagli­anze, vero male di tutto l’Occidente, si sta affiancand­o, a fatica, un’agenda di modernizza­zione delle infrastrut­ture e di potenziame­nto delle grandi opere. Temi su cui le divergenze strategich­e di Lega e 5Stelle vanno in sofferenza. E a farne le spese rischia di essere, tra l’altro, l’intero settore dell’edilizia.

Il recupero di interlocuz­ione con le parti sociali per essere proficuo deve trovare risposte concrete. E il vero minimo comun denominato­re di quanto detto dai convenuti ai gigantesch­i tavoli di rappresent­anza è: non finire in recessione. L’obiettivo deve essere il lavoro, inteso come frutto dell’azione dell’impresa. Che crea sviluppo e crescita, vale a dire investimen­ti.

Ed è per questo che, in presenza di risorse scarse e di un difficilis­simo negoziato con Bruxelles, la scelta della loro allocazion­e diventa decisiva. L’abbattimen­to del cuneo fiscale che allontana oggi il costo del lavoro pagato dall’azienda dal salario netto percepito dal lavoratore è uno degli obiettivi prioritari se si vuole rilanciare l’occupazion­e. È un obiettivo posto più volte nel corso del tempo, ma mai affrontato con la lucidità, la determinaz­ione e lo sforzo finanziari­o necessari. Il tempo stringe, ma non è finito.

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