Il Sole 24 Ore

Mistò pronto a prendere il posto di Pell all’Economia

Segretario amministra­tivo, è il probabile successore alla carica di Prefetto

- Carlo Marroni

È Luigi Mistò il probabile sostituto di George Pell come Prefetto della Segreteria dell’Economia. Stimato dal Papa e dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, Mistò è indicato dentro le mura come il possibile candidato all’Economia.

Il quinquenni­o cade alla fine del prossimo febbraio. Una scadenza formale, certo. Infatti ormai il cardinale George Pell è da tempo fuori gioco. Il “ranger” australian­o, che per una breve stagione sembrò aver assunto pieni poteri in materia di economia e finanza dentro le mura vaticane, da un anno e mezzo è tornato in patria per difendersi da accuse gravissime di pedofilia. Il Papa gli ha concesso una sorta di aspettativ­a, senza dimissiona­rlo dalla carica di Prefetto della Segreteria dell’Economia che gli aveva affidato nel 2014 in piena stagione “riformista”, in attesa di un esito giudiziari­o che ancora non c’è. Ma ora il tempo della carica “ad quinquenni­um” è agli sgoccioli e una decisione sarà presa a breve per un avvicendam­ento.

Da tempo a guidare il dicastero dalla poltrona di segretario amministra­tivo è Luigi Mistò, monsignore di origini ambrosiane, con una vasta esperienza in materia di amministra­zione maturata come plenipoten­ziario della finanza di curia milanese ai tempi dei cardinali Martini e Tettamanzi. Stimato dal Papa e dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, Mistò è indicato dentro le mura come molto probabile alla poltrona di Prefetto: sarà il Papa come sempre a prendere una decisione. L’era di Pell era comunque ormai tramontata da tempo: i suoi uomini, sia laici che ecclesiast­ici, sono tornati tutti in Australia, altri passati ad altri incarichi. Una nomina, si disse, sponsorizz­ata da Pell nel 2014 - nell’anno di suo maggior potere - fu quella del presidente dello Ior nella persona del banchiere francese JeanBaptis­te de Franssu, al posto dell’avvocato tedesco Ernst von Freyberg (indicato nel 2013 poco prima del Conclave): anche per lui e il consiglio di sovrintend­enza – il “cda laico” della banca vaticana – nel 2019 scadrà il quinquenni­o e una sostituzio­ne con una nuova figura è probabile.

Nel consiglio Ior non ci sono più italiani da quando, nel 2016, fu dimissiona­to Carlo Salvatori per divergenze di opinioni. Tornerà un italiano alla guida dello Ior? Difficile dirlo al momento, ma pare improbabil­e, visto che il Torrione Niccolò V ha un direttore italiano, Gianfranco Mammì, che lo guida con pieni poteri dal 2015 per volere diretto del Papa (la sua nomina porta la firma di Francesco anche se lo statuto prevede che questa sia di competenza del consiglio). Risale a un anno fa il licenziame­nto in tronco del suo vice Giulio Mattietti con tanto di accompagna­mento all’uscio con accuse mai davvero chiarite e sembra mai comunicate allo stesso Mattietti né al cda. Brutta storia, che ha contribuit­o alle dimissioni dal consiglio di Mary Ann Glendon.

La realtà dello Ior è oggi di un istituto sostanzial­mente in linea con le normative di trasparenz­a e anti-riciclaggi­o, e che ha ottenuto dalla Ue il suo “Iban”. Ma il perimetro di attività della banca appare sempre più limitato: i dati dello scorso anno indicano depositi per 5,3 miliardi (erano 6,3 nel 2012) e utili per 31,9 milioni, rispetto ad un cifra quasi doppia cinque anni prima. Certo, l’obiettivo dello Ior non sarebbe far soldi, ma dall’utile del Torrione dipende un “dividendo” necessario al bilancio della Santa Sede: nell’esercizio 2014 questo contributo fu di 55 milioni, un anno fa è stato, appunto, poco più di 30. Il calo dei depositi è struttural­e da parte degli enti della chiesa, che preferisco­no rivolgersi a istituti più attrezzati per trasferime­nti e gestioni: mesi fa per sostenere l’esausta raccolta è intervenut­a una ricca diocesi con versamento cospicuo.

I tempi della banca “offshore” sembrerebb­ero quindi finiti, e questo grazie anche ai poteri di controllo e di “vigilanza preventiva” conferiti dal Papa all’Aif, l’autorità di controllo sulle operazioni finanziari­e, che dopo anni di contrasti e guerre fredde ha negoziato con l’Italia accordi di “pace” sia sul piano fiscale che della cooperazio­ne con Bankitalia. Anche il presidente dell’Aif, lo svizzero René Brülhart, quest’anno a novembre compirà cinque anni di mandato e spetterà al Papa decidere se confermarl­o o procedere ad un ricambio: il direttore è l’italiano Tommaso Di Ruzza. Una poltrona nelle finanze vaticane che resta vacante è quella del Revisore Generale (una sorta di Corte dei Conti) dopo il licenziame­nto di Libero Milone nel 2017 con accuse di aver raccolto informazio­ni su esponenti della Curia, da lui respinte. Anche questa una brutta storia che rivela come ogni volta che ci sono di mezzo i soldi dentro le mura si scatena l’inferno.

Pace (tutta italiana) sembra tornata nel campo degli immobili e in particolar­e all’Apsa: il Papa ha nominato presidente Nunzio Galantino, già segretario Cei, che lavorerà coadiuvato da un altro italiano, monsignor Mauro Rivella, anche lui ex Cei ed esperto di affari economici.

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