Ex-Ilva, i piani ArcelorMittal: «Utili, ambiente e ricerca»
Annunciato un centro R&S a Taranto e confermata copertura del parco minerali
A gennaio sarà completata la ricostituzione della forza lavoro dell’ex Ilva, oggi ArcelorMittal Italia, e 10.700 persone, ri-assunte con un nuovo contratto, inizieranno a varcare quotidianamente i cancelli degli impianti per traghettare il più grande gruppo siderurgico italiano verso una nuova stagione.
L’anno nuovo passerà anche dalla formalizzazione di un nuovo rapporto con i fornitori, e dall’avvio di un centro di ricerca di Taranto. Dopo 40 giorni di warm up, il 2019 sarà per l’ex Ilva l’anno dell’integrazione, della trasfusione del “metodo” della multinazionale nel corpo di Taranto e degli altri siti. Sarà l’anno in cui, nelle intenzioni, saranno arrestate le perdite, dopo otto anni consecutivi di “rosso”. Lo ha assicurato Matthieu Jehl, ceo di ArcelorMittal Italia, confermando, insieme al presidente e cfo della multinazionale, Aditya Mittal, ieri a Parigi per il consueto summit con la stampa, anche l’impegno per un futuro low carbon (sollecitando però “frontiere verdi” per evitare che l’Ue, con Ets e obiettivi 2020, sia penalizzata nei confronti dei competitor extraeuropei), al quale tenderanno tutti i siti europei del gruppo, Italia inclusa.
D’altra parte il successo dell’operazione italiana (insieme alle altre due recenti acquisizioni in Brasile e India) è fondamentale nella costruzione della strategia della multinazionale verso «un business più forte e sostenibile», come ha dichiarato ieri Mittal. In queste settimane, ha detto, in Italia c’è stata «un’ottima partenza». ArcelorMittal «ha deciso di risolvere tutti gli errori commessi in passato in materia ambientale», mentre sul piano industriale si vuole «migliorare le capacità di prodotto e di servizio per il mercato italiano e altri segmenti in Europa, dove però la salvaguardia va migliorata».
L’obiettivo è raggiungere un livello di spedizioni di 9,5 milioni di tonnellate entro il 2024.
Sul piano ambientale, ha precisato Jehl, «il simbolo di quello che vogliamo fare per la comunità è la copertura del parco minerali», la cui prima arcata è stata posata venerdì. Jehl ha poi ribadito l’obiettivo di raggiungere l’anno prossimo i 6 milioni di tonnellate di produzione, e di arrestare le perdite il prima possibile, anche perché «potere contare su un adeguato cash flow sarà necessario per gli investimenti; l’azienda perde 20-25 milioni al mese, e non è sostenibile».
Il “metodo” ArcelorMittal si misura in ogni aspetto organizzativo. Dai “gemellaggi” («se abbiamo un impianto e un team che funzionano bene in un altro sito dobbiamo solo mettere in contatto le persone», ha detto Jehl) alle scelte di approvvigionamento. «Stiamo lavorando a nuove partnership – ha spiegato l’ad -. L’economia italiana si caratterizza per una fitta presenza di Pmi fornitrici: è importante che capiscano come ci si riferirà a loro, vogliamo sviluppare relazioni per creare soluzioni insieme. Non è solo una questione di prezzo più basso».
Il gruppo non elude, da player globale, il tema dell’utilizzo di tecnologie low carbon, nodo centrale anche nella vicenda del commissariamento dell’ex Ilva. «Siamo leader – ha detto Carl De Mare, vicepresidente -, abbiamo una responsabilità e per questo abbiamo una road map per ridurre il nostro tenore di carbonio in tutte le regioni d’Europa in cui siamo presenti». L’Italia non è esclusa. Jehl ha assicurato che il nuovo centro di ricerca, in rampa di lancio con l’assunzione di 15 persone da marzo, porterà le best practices del gruppo in Italia. «Con il turnaround stiamo già portando gli impianti alla migliore media del gruppo – ha detto -, nel lungo periodo non ci sarà differenza tra l’Italia e quanto stiamo facendo nel resto dell’Europa».