SERVE UN PIANO EUROPEO PER L’ERA DEL DOPO CARBONE
L’annuale conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si è aperta il 3 dicembre in Polonia, a Katowice, capitale europea del carbone. In questi giorni i delegati giunti da più di 200 Paesi per discutere le regole di funzionamento dell’Accordo di Parigi stanno sperimentando in prima persona l’inquinamento dovuto all’estrazione e all’uso del carbone. La speranza è che questa esperienza possa contribuire a rafforzare il senso di urgenza nell’avanzare quel processo di trasformazione dei sistemi energetici necessario per combattere i cambiamenti climatici.
Un senso di urgenza che, a oggi, continua a non esserci. I dati parlano chiaro: nel 2017 le emissioni globali di CO2 dovute al settore energetico hanno raggiunto un livello mai raggiunto prima, e, stando ai primi dati disponibili, cresceranno nel 2018. Il mondo è ben lontano dal rispettare la traiettoria concordata a Parigi per far fronte ai cambiamenti climatici.
Il carbone è il primo responsabile di questa situazione, contribuendo per un quarto delle emissioni globali di CO2 legate all’energia. Nel mondo, i primi tre consumatori di carbone sono Cina (50%), India (11%) e - sorpresa - Europa (6%). Già, nonostante le forti politiche in materia e il sostegno alle rinnovabili, l’Europa non ha ancora disattivato la parte più inquinante del proprio sistema energetico.
Il carbone continua a svolgere un ruolo importante nella generazione elettrica di vari Paesi europei: 80% del mix elettrico in Polonia e circa 40% in Repubblica Ceca, Bulgaria, Grecia e - altra sorpresa - Germania. A oggi, solo alcuni Paesi europei - Italia, Francia, Olanda e Regno Unito hanno preso l’impegno di eliminare il carbone dal loro sistema energetico entro i prossimi dieci anni. Questo persistente ruolo del carbone in Europa è disastroso per il clima, l’ambiente e per la salute.
Dal punto di vista climatico, il carbone è il modo peggiore per generare elettricità. Giusto per fare un esempio, una centrale elettrica a carbone emette il 40% in più di CO2 rispetto a una struttura a gas naturale. Non deve sorprendere il fatto che il carbone, contribuendo al 25% della produzione elettrica europea, sia responsabile per il 75% delle emissioni di CO2 dell’intero settore. Eliminare il carbone dal sistema energetico europeo è fondamentale per decarbonizzare l’elettricità, ma anche rendere verdi altri settori, come quello dei trasporti.
Il carbone è dannoso pure per ambiente e salute umana. In Europa, le centrali elettriche a carbone sono tra i principali responsabili delle emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto e particolato rilasciati nell’aria. Questi inquinanti possono entrare nel corpo umano e causare vari problemi di salute, dal cancro ai polmoni agli attacchi di cuore.
Nonostante ciò, in Europa il carbone continua a essere usato, con giustificazioni che vanno dalla sicurezza energetica alla salvaguardia dei posti di lavoro nell’industria carbonifera. Quella della sicurezza energetica può anche essere una valida preoccupazione. Un Paese fortemente dipendente dal carbone non può passare da un giorno all’altro alle rinnovabili. Tuttavia, tale transizione è fattibile. Diversi sono i Paesi che già hanno eliminato con successo il carbone senza compromettere la sicurezza e la competitività energetica. È tutta una questione di buone politiche e buoni investimenti.
Altrettanto valida è la preoccupazione per la perdita dei posti di lavoro, ma anche qui un cambiamento solidale è possibile. Un attento studio dei dati è, in questo senso, rivelatore. Il Paese europeo con il maggior numero di posti di lavoro nel settore del carbone è la Polonia, con 100mila addetti: un numero che rappresenta lo 0,7% degli occupati del Paese. In tutti gli altri Stati l’occupazione nel settore è inferiore alle 30mila persone, ovvero sempre al di sotto dello 0,6% del totale. Questo per dire che il problema esiste, ma è molto circoscritto. Finanziamenti pubblici ben disegnati possono garantire una transizione socialmente giusta che non lasci indietro nessuno, garantendo ai minatori più anziani un’uscita anticipata dal lavoro e a quelli più giovani di acquisire nuove competenze per reinserirsi in nuovi settori lavorativi.
Tale meccanismo di sostegno potrebbe essere creato dalla stessa Unione europea. Considerando il numero di lavoratori attualmente occupati nell’industria carbonifera europea, è possibile stimare il fabbisogno finanziario in 150 milioni all’anno per dieci anni, ovvero lo 0,1% del bilancio annuo dell’Unione. Con un limitato impiego delle proprie finanze, l’Unione potrebbe, dunque, stimolare la rimozione di una delle barriere più importanti nel processo europeo di decarbonizzazione, contribuendo altresì al miglioramento dell’ambiente e della salute dei cittadini europei, e offrendo un esempio che potrebbe poi essere seguito da altri Paesi nel mondo. Questo rappresenterebbe senza dubbio un contributo tangibile e importante all’attuazione dell’Accordo di Parigi.