Libero scambio, approvato l’accordo Ue-Giappone
In un contesto di crescente protezionismo i due partner scelgono di liberalizzare Un miliardo di risparmi, si prevede un aumento dell’export Ue di oltre il 13%
Via libera definitivo dal Parlamento europeo all’accordo di libero scambio tra Ue e Giappone (in vigore dal primo febbraio 2019). L’intesa andrà a coprire un’area pari a un terzo del Pil mondiale. L’accordo dovrebbe aumentare le esportazioni europee verso Tokyo di oltre il 13%.
Il Parlamento europeo ha approvato ieri a Strasburgo l’ambizioso accordo commerciale con il Giappone, che dovrebbe entrare in vigore a febbraio dell’anno prossimo, secondo le speranze della Commissione europea. Per le imprese europee, e soprattutto italiane, si apre un nuovo sbocco. Su altri fronti commerciali, come per esempio quello latino-americano, i negoziati condotti da Bruxelles appaiono assai più complicati per via di interessi contrapposti in campo alimentare.
L’accordo tra l’Unione europea e il Giappone - approvato con 474 voti a favore (compresi quelli di M5S e Lega), 152 contrari e 40 astensioni - ha una valenza tanto economica quanto politica. In un contesto di crescente protezionismo commerciale, i due partner ribadiscono il desiderio di liberalizzare gli scambi e assicurare un governo regolamentato dell’economia mondiale. L’intesa prevede una eliminazione pressoché totale dei dazi tra i due blocchi. Il risparmio per le imprese europee potrebbe essere di un miliardo di euro.
Il valore dell’export europeo verso il paese asiatico nel 2016 è stato di 86 miliardi di euro (58 miliardi in beni e 28 in servizi). Secondo Bruxelles, l’accordo dovrebbe aumentare le esportazioni comunitarie di oltre il 13%. L’intesa prevede anche di liberalizzare i servizi in un momento in cui «il commercio mondiale si sta indebolendo sulla scia del moltiplicarsi dei dazi», nota Joanna Konings, economista di ING, che guarda con preoccupazione alla guerra commerciale tra Pechino e Washington.
Attualmente, escluso il Giappone, l’Unione europea è partner di 39 intese con 69 Paesi. Nel contempo, vi sono cinque accordi in attesa di entrare in vigore: oltre a quello con il Giappone, quelli con Vietnam, Singapore, Africa occidentale e Comunità di sviluppo dell’Africa orientale. Infine, la Commissione sta negoziando con sette nuovi partner: Messico, Cile, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda, Tunisia, e Mercosur.
Proprio a questo riguardo, l’accordo col Giappone solleva altri nodi, o quanto meno evidenzia delle contraddizioni palesi. Se analizziamo altre aree geografiche si nota la chiusura dell’Unione nei confronti di vari Paesi latinoamericani. L’Argentina conta 44 milioni di abitanti e produce agroalimenti per 400 milioni. Ecco perché fa paura. Il Mercosur, l’unione doganale tra Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, oltre al Venezuela, chiede maggiore apertura ai propri prodotti.
Su questo fronte, Bruxelles e Strasburgo diventano politicamente strabiche: da un lato contestano le protezioni che il presidente americano Donald Trump promuove sempre più e plaudono alle intese commerciali. Dall’altro giudicano «strategia offensiva» quella dei latinoamericani. La lobby agricola europea teme Argentina e Brasile e guarda con enormi timori ai negoziati con l’Australia e la Nuova Zelanda.
I nostri vecchi emigrati in Sud America hanno prodotto formaggi e vini di ispirazione italiana, alimentando la paura dei nipoti italiani. Sì, perché in America Latina si producono prodotti simili, il Regianito, come... imitazione del Parmigiano Reggiano è l’esempio più eclatante. Non solo, anche la fontina e vini simili al Chianti, al Barbera, la “muzarella” argentina e la pasta brasiliana confezionata in pacchetti marchiati dal tricolore italiano.
I negoziati con il Mercosur iniziati nel 1999 fanno del surplace. La paura si può trasformare in un pericolo commerciale reale: lasciare che i Paesi latinoamericani facciano accordi bilaterali direttamente con la Cina.