Perché con la Tav l’Italia (e Torino) sarebbero più competitive
Nelle ultime settimane i sostenitori del collegamento su ferro ad Alta Velocità si sono confrontati, cercando di contarsi sulla piazza. Le ragioni dei non sostenitori della Tav sono note. L’opera sarebbe poco utile in confronto ai traffici merci attuali e, forse, futuri tra il Piemonte e Rhones Alpes, tra Italia e Francia, così essi attendono in modo quasi liberatorio l’esito dell’analisi costi benefici, l’ennesima, affidata dal governo e iniziata da mesi.
L’analisi costi benefici è una tecnica utile, ma nel caso della Tav non fornirà risultati credibili. Non si può giudicare un’opera che congiunge due reti di trasporto di qua e di là delle alpi, perché i costi si possono definire con la precisione di un euro, mentre i benefici saranno dovuti alla generazione di traffico che l’opera produrrà sulle reti che collega e non vi sono metodi affidabili per stimarli. Tanto più nel caso di un’opera strategica, destinata a durare secoli, quanto e più del precedente tunnel, che ha proiettato il piccolo stato sabaudo tra le nazioni sviluppate d’Europa. Se i romani ne avessero fatto l’analisi costi-benefici, la strada nazionale
1, Aurelia, probabilmente non sarebbe mai stata realizzata, perché era un’opera strategica e grandiosa, non certo parsimoniosa.
Ma c'è una seconda ragione per cui l’Italia non dovrebbe perdere l'occasione di realizzare la Tav, ed è la collocazione in Europa della sua capitale industriale. Immaginiamo l’Italia come una squadra di calcio. Il collettivo vince se i giocatori sono numerosi, forti e con abilità diverse l’uno dall’altro. Le città d’Italia sono come i giocatori di una squadra ed hanno vocazioni, specializzazioni e qualità diverse. Torino è una città che in una ideale squadra farebbe parte della terna di attacco. Primeggia infatti per le esportazioni e, in secondo luogo, come capitale nazionale della ricerca e sviluppo; è la sola città italiana che si avvicina all’obiettivo di Lisbona del 3 per cento di ricerca e sviluppo sul Pil, un obiettivo che anche le più blasonate città europee finiranno per mancare.
Solo un allenatore insipiente cederebbe o non schiererebbe in squadra il giocatore che gli ha sempre assicurato lo sfondamento dell’area avversaria. E invece questo appare il caso. Chi pensa alla Tav in ottica negativa o ne banalizza la valutazione con la ragioneria delle merci o, ancora, chi ritiene che le alternative, come quella assicurata dal Gottardo, siano più che sufficienti, condanna a un declino irreversibile la città che ha fatto nascere il maggior numero di innovazioni italiane degli ultimi centocinquanta anni, che hanno generato reddito e benessere per tutti, nonché tasse per finanziare i servizi pubblici. Perché questa è esattamente la posta in gioco.
Nessuna città contemporanea può pensare di essere competitiva, e dunque attrattiva di investimenti, senza collegamenti. Nei prossimi venti o trenta anni la crescita dell’economia aumenterà la ricchezza nei paesi emergenti. La classifica delle società multinazionali si popolerà non solo di aziende asiatiche (è già così), ma anche di imprese africane. Le città europee si contenderanno le sedi regionali estere delle multinazionali, che saranno sempre più numerose e sempre meno occidentali. Una ricerca del 2017 ha dimostrato che l’attrattività di una città per accogliere gli investimenti dipende causalmente dai collegamenti disponibili. Torino, per continuare ad essere competitiva, ha bisogno di più collegamenti, non meno. Senza il collegamento tra Torino e Lione, lo sviluppo dell’intero nord ovest finirà su un binario morto. Torino declinerà definitivamente. Il valore delle case, in cui sono investiti i risparmi dei torinesi del ceto medio, si abbasserà ancora e si aggraverà l’emigrazione dei suoi giovani bene istruiti. Genova sarà superata da Marsiglia e Barcellona e la stessa Milano, senza Torino, sfiorirà, perché le risorse le scarseggeranno e vedrà emigrare parte delle sue aziende. L’economia italiana compete con successo nel mondo (siamo la seconda economia esportatrice d’Europa, dopo la Germania e prima della Francia) solo se è forte la squadra, non se rinuncia a un giocatore. Il modello di sviluppo alternativo, sostenibile e collettivo, che fa a meno dei treni ad alta velocità, è un’utopia, mentre esiste il declino economico e, a seguire, sociale e culturale, che è la conseguenza delle scelte rinunciatarie.
Il fatto che la Tav sia strategica per lo sviluppo nazionale non si può includere in una analisi costi benefici, che calza alla scelta a favore o contro la Torino Lione come una camicia troppo stretta. Pensino, piuttosto, coloro che ancora hanno dei dubbi che l’opera principale, il tunnel di base che dovrà essere pronto per il 2029, vale una spesa di 8,6 miliardi. Il 35 per cento di questa spesa sarà italiana. Dividendo l’importo per i prossimi 100 anni (anche se durerà molto di più) e per i 60 milioni di italiani costerà cinquanta centesimi all’anno per persona. Chi mette a rischio il futuro di una città da cui dipende buona parte dello sviluppo nazionale si mette in tasca una moneta che non paga neppure un caffè e compra la scommessa di un futuro impossibile. L’analisi costi benefici, tra l’altro eternamente lunga, come nessuna analisi economica può mai essere, ha già raggiunto il risultato concreto di far ritardare l’opera. Potrebbe conseguirne una peggiore: far perdere i finanziamenti europei e veder estinguere il cantiere, come spesso capita quando decisori senza coraggio lasciano che trascorra il tempo senza far nulla. Chi compra tempo oggi, lo fa perdere agli italiani, ai torinesi prima di tutti, che tra qualche decennio potrebbero risvegliarsi più poveri, quando sarà impossibile rimediare.