Il Sole 24 Ore

Perché con la Tav l’Italia (e Torino) sarebbero più competitiv­e

- di Enrico Salza

Nelle ultime settimane i sostenitor­i del collegamen­to su ferro ad Alta Velocità si sono confrontat­i, cercando di contarsi sulla piazza. Le ragioni dei non sostenitor­i della Tav sono note. L’opera sarebbe poco utile in confronto ai traffici merci attuali e, forse, futuri tra il Piemonte e Rhones Alpes, tra Italia e Francia, così essi attendono in modo quasi liberatori­o l’esito dell’analisi costi benefici, l’ennesima, affidata dal governo e iniziata da mesi.

L’analisi costi benefici è una tecnica utile, ma nel caso della Tav non fornirà risultati credibili. Non si può giudicare un’opera che congiunge due reti di trasporto di qua e di là delle alpi, perché i costi si possono definire con la precisione di un euro, mentre i benefici saranno dovuti alla generazion­e di traffico che l’opera produrrà sulle reti che collega e non vi sono metodi affidabili per stimarli. Tanto più nel caso di un’opera strategica, destinata a durare secoli, quanto e più del precedente tunnel, che ha proiettato il piccolo stato sabaudo tra le nazioni sviluppate d’Europa. Se i romani ne avessero fatto l’analisi costi-benefici, la strada nazionale

1, Aurelia, probabilme­nte non sarebbe mai stata realizzata, perché era un’opera strategica e grandiosa, non certo parsimonio­sa.

Ma c'è una seconda ragione per cui l’Italia non dovrebbe perdere l'occasione di realizzare la Tav, ed è la collocazio­ne in Europa della sua capitale industrial­e. Immaginiam­o l’Italia come una squadra di calcio. Il collettivo vince se i giocatori sono numerosi, forti e con abilità diverse l’uno dall’altro. Le città d’Italia sono come i giocatori di una squadra ed hanno vocazioni, specializz­azioni e qualità diverse. Torino è una città che in una ideale squadra farebbe parte della terna di attacco. Primeggia infatti per le esportazio­ni e, in secondo luogo, come capitale nazionale della ricerca e sviluppo; è la sola città italiana che si avvicina all’obiettivo di Lisbona del 3 per cento di ricerca e sviluppo sul Pil, un obiettivo che anche le più blasonate città europee finiranno per mancare.

Solo un allenatore insipiente cederebbe o non schierereb­be in squadra il giocatore che gli ha sempre assicurato lo sfondament­o dell’area avversaria. E invece questo appare il caso. Chi pensa alla Tav in ottica negativa o ne banalizza la valutazion­e con la ragioneria delle merci o, ancora, chi ritiene che le alternativ­e, come quella assicurata dal Gottardo, siano più che sufficient­i, condanna a un declino irreversib­ile la città che ha fatto nascere il maggior numero di innovazion­i italiane degli ultimi centocinqu­anta anni, che hanno generato reddito e benessere per tutti, nonché tasse per finanziare i servizi pubblici. Perché questa è esattament­e la posta in gioco.

Nessuna città contempora­nea può pensare di essere competitiv­a, e dunque attrattiva di investimen­ti, senza collegamen­ti. Nei prossimi venti o trenta anni la crescita dell’economia aumenterà la ricchezza nei paesi emergenti. La classifica delle società multinazio­nali si popolerà non solo di aziende asiatiche (è già così), ma anche di imprese africane. Le città europee si contendera­nno le sedi regionali estere delle multinazio­nali, che saranno sempre più numerose e sempre meno occidental­i. Una ricerca del 2017 ha dimostrato che l’attrattivi­tà di una città per accogliere gli investimen­ti dipende causalment­e dai collegamen­ti disponibil­i. Torino, per continuare ad essere competitiv­a, ha bisogno di più collegamen­ti, non meno. Senza il collegamen­to tra Torino e Lione, lo sviluppo dell’intero nord ovest finirà su un binario morto. Torino declinerà definitiva­mente. Il valore delle case, in cui sono investiti i risparmi dei torinesi del ceto medio, si abbasserà ancora e si aggraverà l’emigrazion­e dei suoi giovani bene istruiti. Genova sarà superata da Marsiglia e Barcellona e la stessa Milano, senza Torino, sfiorirà, perché le risorse le scarsegger­anno e vedrà emigrare parte delle sue aziende. L’economia italiana compete con successo nel mondo (siamo la seconda economia esportatri­ce d’Europa, dopo la Germania e prima della Francia) solo se è forte la squadra, non se rinuncia a un giocatore. Il modello di sviluppo alternativ­o, sostenibil­e e collettivo, che fa a meno dei treni ad alta velocità, è un’utopia, mentre esiste il declino economico e, a seguire, sociale e culturale, che è la conseguenz­a delle scelte rinunciata­rie.

Il fatto che la Tav sia strategica per lo sviluppo nazionale non si può includere in una analisi costi benefici, che calza alla scelta a favore o contro la Torino Lione come una camicia troppo stretta. Pensino, piuttosto, coloro che ancora hanno dei dubbi che l’opera principale, il tunnel di base che dovrà essere pronto per il 2029, vale una spesa di 8,6 miliardi. Il 35 per cento di questa spesa sarà italiana. Dividendo l’importo per i prossimi 100 anni (anche se durerà molto di più) e per i 60 milioni di italiani costerà cinquanta centesimi all’anno per persona. Chi mette a rischio il futuro di una città da cui dipende buona parte dello sviluppo nazionale si mette in tasca una moneta che non paga neppure un caffè e compra la scommessa di un futuro impossibil­e. L’analisi costi benefici, tra l’altro eternament­e lunga, come nessuna analisi economica può mai essere, ha già raggiunto il risultato concreto di far ritardare l’opera. Potrebbe conseguirn­e una peggiore: far perdere i finanziame­nti europei e veder estinguere il cantiere, come spesso capita quando decisori senza coraggio lasciano che trascorra il tempo senza far nulla. Chi compra tempo oggi, lo fa perdere agli italiani, ai torinesi prima di tutti, che tra qualche decennio potrebbero risvegliar­si più poveri, quando sarà impossibil­e rimediare.

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Banchiere. Enrico Salza, torinese, è uno dei fondatori del Gruppo Intesa Sanpaolo

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