Rischio downgrade nel portafoglio Bce, il 44% dei bond è Bbb
Il nodo sui titoli aziendali, ma Draghi resta sereno: «Accantonamenti già fatti»
Con la bocciatura subita proprio questa settimana da Moody’s, Anheuser-Busch Inbev è forse l’ultima società in ordine di tempo che entra a far parte della già folta pattuglia delle «Triple B», il giudizio di rating immediatamente precedente al livello junk. La notizia in sé potrebbe passare quasi inosservata, se non si inserisse in un contesto di mercato in cui analisti e investitori mostrano crescente preoccupazione per il rapido deterioramento della qualità del credito alla vigilia di una fase economica che si preannuncia ben più complessa rispetto a quella attraversata negli ultimi anni. E se soprattutto i bond del gruppo belga, il principale produttore di birra al mondo che nel 2016 si è largamente indebitato per far fronte all’acquisizione di SabMiller, non fossero fra i più presenti nel portafoglio della Bce, che li ha acquistati a piene mani in nome di quel Corporate sector purchase programme (Cspp) che si avvia a concludere a fine anno.
Una buona fetta dei quasi 180 miliardi di euro di bond societari che al termine del piano resteranno custoditi nei forzieri dell’Eurotower appartengono infatti a Ab InBev. Impossibile stabilire quanti siano esattamente, visto che l’ammontare preciso ritirato dal mercato non viene reso noto, ma non si tratta certo di una cifra irrisoria. Sono infatti ben 19 le obbligazioni del colosso brassicolo entrate a far parte del forziere Bce e, se si dovesse seguire un criterio che prevede l’equa ripartizione degli acquisti in base al controvalore complessivo emesso, si arriverebbe a 5,6 miliardi di euro, il 3,2% del totale: una cifra teoricamente seconda soltanto a quella sborsata per i bond del gruppo Daimler (6,3 miliardi, 3,5%).
La vicenda ovviamente non stupisce, perché come accennato Ab Inbev è uno dei principali emittenti europei, né spaventa più di tanto gli stessi banchieri centrali per le possibili conseguenze. A chi ieri chiedeva se fosse in qualche modo preoccupato per i rischi collegati alla presenza di titoli high yield nel portafoglio, lo stesso Mario Draghi ha risposto di sentirsi «abbastanza al sicuro» perché la Bce ha effettuato accantonamenti per coprire questo genere di rischi. E ha anche ricordato che lo scopo del Cspp «non è di massimizzare i profitti o minimizzare le perdite, ma è legato alla politica monetaria: gli incidenti di percorso possono capitare e anzi si sono già verificati».
Draghi si riferiva verosimilmente al caso Steinhoff i cui titoli, acquistati originariamente nel 2017, sono stati rivenduti (in perdita) all’inizio di quest’anno quando uno scandalo legato a irregolarità contabili ha messo nei guai la multinazionale gruppo delle catene di arredamento. Le regole del Cspp in materia sono però piuttosto flessibili: «La Bce può decidere volta per volta in quale modo procedere e nella maggior parte dei casi un semplice declassamento non rappresenta una ragione sufficiente per liquidare le posizioni esistenti», spiega Wolfgang Bauer, gestore del team Fixed Income di M&G Investments, ricordando come il produttore di fertilizzanti tedesco K+S abbia perso lo status di investment grade (cioè almeno «Tripla B») nell’ottobre 2016, ma i suoi bond restino tuttora nel portafoglio dell’Eurotower.
Resta il fatto che fra i 1.209 titoli corporate acquistati attraverso il quantitative easing - fra i quali prevalgono i bond provenienti dalla Francia, con il 30% del valore complessivo, seguiti da quelli di Germania, Italia e Spagna - quasi la metà (il 44%) abbia rating «Bbb», siano cioè al limite inferiore per far parte del Piano e siano anche quelli che quest’anno hanno sofferto di più sul mercato, a partire almeno da febbraio. Certo, sottolinea ancora Bauer, la Bce agisce come il tipico «cassettista», mantiene cioè i titoli fino al rimborso (anzi, almeno per il momento continuerà a rimpiazzare quelli scaduti) e questo riduce l’importanza dei movimenti di prezzo giornalieri. Il vero rischio resta quindi quello di insolvenza dell’emittente, che un possibile deterioramento del ciclo economico nei prossimi mesi potrebbe rendere in qualche modo più probabile: un motivo in più per indurre il Consiglio dell’Istituto centrale a maggior cautela nel ridurre quel sostegno monetario che finora ha impedito la deriva del sistema finanziario.
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