Concertazione antidoto agli eccessi del populismo
Sem brache do potanti discorsi sulla cosiddetta“dis intermediazione” i vertici delle due forze politiche oggi al governo stiano riscoprendo le virtù del confronto con le agenzie rappresentative di settori importanti della società. Si tratta prevalentemente di realtà legate al mondo economico, vuoi sul versante delle imprese, vuoi su quello del lavoro ed è più che comprensibile: la questione fondamentale nel paese è in questo momento quella economica sia per i problemi che incontra una ripresa che sembra incepparsi (anche a causa di politiche approssimative da parte del governo) sia per quello che si sta prospettando sull’orizzonte europeo ed internazionale.
Non ci vuole grande acume per comprendere che in gran parte le angosce che percorrono il paese sono legate alla crisi che sconvolge il tradizionale quadro che aveva garantito negli anni d’ oro un benessere largamente diffuso. L agente te medi dover vivere rinunciando a ciò che aveva conquistato o fortemente ridimensionandolo e questo genera instabilità in quello che una volta si chiamava lo spirito pubblico.
Si è tentato di rispondere a queste angosce sia diffondendo il mito della crisi passeggera che poteva essere superata abbastanza facilmente sia proponendo progetti più o meno fantasiosi su un famoso “altro mondo possibile”. Naturalmente non tutto può essere ridotto ad una rappresentazione farsesca e non mancano declinazioni di entrambe le visioni che cercano di essere meno radicali, ma la pressione per scegliere fra i due estremi esiste, perché si pensa che la gente possa più facilmente prestare il proprio consenso a proposte apparentemente semplici e di conseguenza tranquillizzanti.
Coloro che invece si sono resi conto o che cominciano a rendersi conto delle difficoltà che comporta il governo di una transizione riscoprono che in questi casi non serve appellarsi ad un generico “popolo”, ma bisogna trovare interlocutori che siano in grado di far comprendere alla gente gli sforzi necessari, e magari un poco gravosi per venire a capo della crisi salvando il più possibile le conquiste fondamentali di economie che puntano ancora al benessere dei cittadini. Detto banalmente, se non si produce la ricchezza necessaria non c’è niente da ridistribuire.
Il dialogo/confronto con le organizzazioni che raccolgono la rappresentanza di imprese e lavoratori non è un lusso, ma un passaggio necessario per avere una democrazia efficiente. Come mostra il caso drammatico della Francia, a buttarsi in drastiche avventure futuriste sull’onda di qualche discorso à la page produce guai e mancando forze di intermediazione sociale si finisce per avere di fronte una anarchia che non si sa come riportare alla ragione.
Avere l’obiettivo di promuovere il benessere del popolo è ovviamente fondamentale in ogni democrazia, ma si deve prestare attenzione a non scambiare per “popolo” qualche limitato settore sociale che si può facilmente mobilitare intorno a qualche slogan accattivante. Le visioni della politica per reggersi devono essere al contempo realistiche e di lungo periodo, il che non significa affatto che non possano essere anche audaci. L’Italia ha da affrontare problemi complicati di crescita economica e sappiamo che non la si può ottenere drogando mercato, finanza e imprese. Per riuscire nell’opera c’è bisogno di mettere a sistema tutte le risorse di governo del paese: benissimo l’esecutivo, ma ci si deve aggiungere un parlamento che funzioni nella dialettica delle posizioni e un complesso di istituzioni di rappresentanza che non solo raccolgano le istanze della gente, ma che la aiutino a capire quel che si tenta di fare e a cooperare con esso.