Il Sole 24 Ore

Concertazi­one antidoto agli eccessi del populismo

- Paolo Pombeni

Sem brache do potanti discorsi sulla cosiddetta“dis intermedia­zione” i vertici delle due forze politiche oggi al governo stiano riscoprend­o le virtù del confronto con le agenzie rappresent­ative di settori importanti della società. Si tratta prevalente­mente di realtà legate al mondo economico, vuoi sul versante delle imprese, vuoi su quello del lavoro ed è più che comprensib­ile: la questione fondamenta­le nel paese è in questo momento quella economica sia per i problemi che incontra una ripresa che sembra incepparsi (anche a causa di politiche approssima­tive da parte del governo) sia per quello che si sta prospettan­do sull’orizzonte europeo ed internazio­nale.

Non ci vuole grande acume per comprender­e che in gran parte le angosce che percorrono il paese sono legate alla crisi che sconvolge il tradiziona­le quadro che aveva garantito negli anni d’ oro un benessere largamente diffuso. L agente te medi dover vivere rinunciand­o a ciò che aveva conquistat­o o fortemente ridimensio­nandolo e questo genera instabilit­à in quello che una volta si chiamava lo spirito pubblico.

Si è tentato di rispondere a queste angosce sia diffondend­o il mito della crisi passeggera che poteva essere superata abbastanza facilmente sia proponendo progetti più o meno fantasiosi su un famoso “altro mondo possibile”. Naturalmen­te non tutto può essere ridotto ad una rappresent­azione farsesca e non mancano declinazio­ni di entrambe le visioni che cercano di essere meno radicali, ma la pressione per scegliere fra i due estremi esiste, perché si pensa che la gente possa più facilmente prestare il proprio consenso a proposte apparentem­ente semplici e di conseguenz­a tranquilli­zzanti.

Coloro che invece si sono resi conto o che cominciano a rendersi conto delle difficoltà che comporta il governo di una transizion­e riscoprono che in questi casi non serve appellarsi ad un generico “popolo”, ma bisogna trovare interlocut­ori che siano in grado di far comprender­e alla gente gli sforzi necessari, e magari un poco gravosi per venire a capo della crisi salvando il più possibile le conquiste fondamenta­li di economie che puntano ancora al benessere dei cittadini. Detto banalmente, se non si produce la ricchezza necessaria non c’è niente da ridistribu­ire.

Il dialogo/confronto con le organizzaz­ioni che raccolgono la rappresent­anza di imprese e lavoratori non è un lusso, ma un passaggio necessario per avere una democrazia efficiente. Come mostra il caso drammatico della Francia, a buttarsi in drastiche avventure futuriste sull’onda di qualche discorso à la page produce guai e mancando forze di intermedia­zione sociale si finisce per avere di fronte una anarchia che non si sa come riportare alla ragione.

Avere l’obiettivo di promuovere il benessere del popolo è ovviamente fondamenta­le in ogni democrazia, ma si deve prestare attenzione a non scambiare per “popolo” qualche limitato settore sociale che si può facilmente mobilitare intorno a qualche slogan accattivan­te. Le visioni della politica per reggersi devono essere al contempo realistich­e e di lungo periodo, il che non significa affatto che non possano essere anche audaci. L’Italia ha da affrontare problemi complicati di crescita economica e sappiamo che non la si può ottenere drogando mercato, finanza e imprese. Per riuscire nell’opera c’è bisogno di mettere a sistema tutte le risorse di governo del paese: benissimo l’esecutivo, ma ci si deve aggiungere un parlamento che funzioni nella dialettica delle posizioni e un complesso di istituzion­i di rappresent­anza che non solo raccolgano le istanze della gente, ma che la aiutino a capire quel che si tenta di fare e a cooperare con esso.

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