Calcolo oneri concessori, oltre 2mila posti a rischio nei porti turistici italiani
Dalla Liguria l’Osservatorio Nautico Nazionale lancia l’allarme sui porti turistici: a rischio ci sono fino a 2.200 posti di lavoro, che potrebbero letteralmente scomparire nel corso del 2019. Sono quelli che, direttamente o indirettamente, lavorano per la rete infrastrutturale del turismo nautico. Sempre secondo i dati dell’Onn, una marina genera mediamente 12 occupati diretti, 54 assunti nelle attività economiche collocate al suo interno e 23 lavoratori nelle attività connesse sul territorio. Ma a rimetterci sarebbe tutta l’economia costiera, basti pensare che la spesa del diportista sfiora gli 1,5 miliardi di euro.
Realizzata interamente con capitali privati, la rete dei porti turistici italiani ora rischia di andare in default se non trovano soluzione alla questione del ricalcolo degli oneri concessori, che si trascina da oltre dieci anni, insieme altre molto più recenti, come le mareggiate del 29 ottobre che oltre ad aver devastato il porto Carlo Riva di Rapallo hanno ferito molte realtà dell’arco tosco-ligure. La Legge di Bilancio è l’ultima spiaggia anche secondo Ucina Confindustria Nautica, l’Associazione nazionale di categoria che già da tempo ha lanciato un grido di allarme al Governo e sta lavorando attivamente a una soluzione. I porti turistici sono frutto di un contratto: il privato si impegna a costruirli e manutenerli per un certo numero di anni, secondo un piano finanziario approvato dallo Stato, che al termine della concessione ne acquisisce la proprietà. Nel piano finanziario è compreso anche il canone annuale che il privato deve versare, con un meccanismo che – fino al 2007 – prevedeva una progressione inversamente proporzionale al crescere degli investimenti. Poi il governo Prodi ha cancellato questa previsione, premiale per chi investiva al posto dello Stato, accomunando le concessioni-contratto dei marina turistici a qualsiasi altra concessione demaniale. Conseguenza: cambiamento unilaterale del contratto, stravolgimento del piano economico, aumento retroattivo dei canoni fino al 500%.
Le imprese hanno resistito per 10 anni, instaurando un contenzioso che le ha portate davanti alla Corte Costituzionale, che ha dato loro ragione. Aumenti dei canoni sì, ma non retroattivi, ha stabilito la sentenza n. 29 del 2017, dovendo distinguere le opere costruite dal privato da quelle affidatigli solo in gestione. Qual è allora il problema? Che anziché riformulare i conteggi dei canoni, attualizzandoli alla sentenza, in assenza di una specifica norma di legge le agenzie di riscossione vanno avanti per la loro strada. E poche settimane fa, il primo delle 26 marine in contenzioso con lo Stato, la darsena Blu di Rimini, si è vista chiedere una somma milionaria e bloccare i conti correnti.
Gli altri seguiranno e, come si è visto, persino le sentenze positive faticano a metterli a riparo da un “fallimento di Stato”. Adesso la parola passa al Governo e al Parlamento.
Realizzata interamente con capitali privati la rete dei porti turistici italiani rischia di finire in default