La cura del Dragone ha messo il turbo al Pireo
Nel 2016 la Cosco ha rilevato la maggioranza dello scalo: traffico container da record
L’ingresso dei cinesi nel porto del Pireo ha segnato anche il loro sbarco in forze nel Mediterraneo. Un preludio alla Bri, la Belt & road initiative, lanciata nel 2013. Già nel 2011, infatti la Cosco (China ocean shipping company) ha cominciato a investire nel porto greco fortemente colpito dagli effetti della crisi globale. E la cura cinese sembra aver fatto bene allo scalo greco di transhipment, nonostante i dubbi sollevati da alcuni operatori del settore riguardo all’acquisto del porto da parte della compagnia asiatica, avvenuto nel 2016. Due anni fa, infatti si è concretizzata l’acquisizione, da parte di Cosco, del 51% della Port Authority del Pireo per 280,5 milioni di euro, ai quali, dopo cinque anni, si aggiungeranno altri 88 milioni che porteranno le quote cinesi al 67% e l’investimento a 368,5 milioni. La privatizzazione del porto durerà fino al 2052.
A evidenziare la crescita dello scalo sono i dati dei container movimentati. Nel 2010 il Pireo contava circa un milione di teu (contenitori da 20 piedi). Ma nel 2011 era già iniziata la salita, con circa 2 milioni di teu. Nel 2017 il Pireo ha totalizzato oltre 4 milioni di container e nel 2018, afferma Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti (la Federazione italiana degli agenti marittimi), «si avvia a raggiungere i 4,5 milioni». Insomma, prosegue, «i cinesi hanno rappresentato un elemento di spinta per il Pireo. Uno scalo che era considerato non affidabile anche per la forte sindacalizzazione dei lavoratori. La conduzione cinese ha ribaltato questa situazione. E ora il porto viene considerato uno dei meno sindacalizzati al mondo. Certo l’assenza di conflittualità sindacale è da analizzare: non è chiaro quali siano le ragioni e potrebbe far nascere qualche preoccupazione riguardo alle modalità di gestione del porto. Tuttavia è un fatto che il Pireo sia divenuto uno dei più importanti e affidabili scali di transhipment nel Mediterraneo e che abbia anche generato nuovi posti di lavoro». Il porto, prosegue Duci, «sta crescendo anche nel settore passeggeri. Non è ancora tornato ai suoi massimi storici, che erano di circa 20 milioni di passeggeri. Credo che ora sia intorno ai 15 milioni, mettendo insieme crociere e traghetti. Ma sicuramente sta diventando una destinazione crocieristica importante. Qualcuno comincia a vederlo come un punto di riferimento per il mercato, che sta nascendo, di operatori cinesi che cominciano a gestire in prima persona il settore delle crociere». Meno positiva, per la Cina, invece, afferma Duci, la logistica terrestre che, nel progetto della Bri, dovrebbe supportare i collegamenti ferroviari. «I cinesi – chiarisce – pensavano forse che sarebbe stato più facile realizzare le infrastrutture su ferro verso i Balcani. E invece stanno scoprendo che costruire le ferrovie non è semplice. Quindi per ora continuerà a essere conveniente fare transhipment al Pireo e portare i container, su navi feeder, a Savona, per far arrivare le merci nel Nordovest italiano, in Pianura Padana e in Svizzera, o a Trieste per indirizzare i carichi verso l’Austria, l’Ungheria e la Baviera».
Non tutti gli operatori però sono convinti che l’operazione di vendita del Pireo ai cinesi sia stata positiva. Manuel Grimaldi, alla guida del gruppo omonimo, una delle principali compagnie armatoriali nel settore delle Autostrade del mare, ha più volte sottolineato come la vendita di un porto europeo a operatori non europei rappresenti un errore, dal punto di vista strategico.