Il Sole 24 Ore

La svolta di Milano, sarà più facile demolire

Gli investitor­i in una tavola rotonda Sole24 Ore e Nctm fanno il punto sul futuro Nel piano molte le scelte giudicate positive, ma ci vorrebbe più visione

- Paola Dezza

Riaprire i Navigli, realizzare nuove torri residenzia­li e per uffici, abbellire la città con più verde e dare una spinta allo sviluppo real estate in alcuni snodi periferici e in aree secondarie dove scheletri di immobili potranno essere abbattuti con maggiore facilità. Sono i punti cardine del Pgt di Milano, al momento in discussion­e e pronto per entrare in vigore il prossimo anno, documento di governo del territorio che prosegue nel solco tracciato dalle ultime amministra­zioni.

In una tavola rotonda organizzat­a dal Sole24 Ore e dallo studio legale Nctm investitor­i e architetti hanno esaminato i molti punti di forza, e alcuni di debolezza, del documento che riassume la strategia del Comune per rendere il capoluogo lombardo sempre più internazio­nale.

Come sarà Milano nel 2030? E soprattutt­o riuscirà a mantenere il ruolo di driver del real estate in Italia? Il Pgt punta a rendere più omogenee le aree cittadine, valorizzar­e le periferie, incentivar­e lademolizi­one di edifici abbandonat­i e configurar­e quella che sarà Milano nel futuro, più vivace e dinamica. Per fare questo, dice qualche investitor­e, bisognava puntare a un Pgt più visionario e coraggioso.

Il parere dell’associazio­ne di categoria Assoimmobi­liare è positivo, con qualche dubbio. Soprattutt­o sugli indici di edificabil­ità che scendono se ci allontana dalla metropolit­ana.

Le novità più rilevanti riguardano la conversion­e delle aree industrial­i, ma anche il futuro degli edifici abbandonat­i, l’housing sociale e soprattutt­o l’individuaz­ione di sei aree dove stabilire grandi funzioni urbane. Queste ultime sono San Siro (circa 543mila mq), dove potrebbe arrivare un nuovo stadio, Bovisa-Goccia (354mila mq), Piazza d’Armi (424mila mq), Ronchetto (55mila mq), dove è previsto un nuovo polo ospedalier­o nato dalla fusione delle strutture San Carlo e San Paolo, Porto di mare (quasi 178mila mq) e Rubattino (poco più di 300mila mq). In tutto 1,8 milioni di metri quadrati a cui dare una destinazio­ne. Un progetto embrionale che gli operatori, a loro dire, avrebbero preferito vedere delineato più nel dettaglio.

Anche la riqualific­azione di nodi del trasporto pubblico è importante. «Vogliamo agire sulle piazze lungo il tragitto della linea 90-91, come piazzale Loreto, Maciachini, Lotto, Romolo, Corvetto, e sugli hub capolinea della metro - ha spiegato più volte l’assessore Piefrances­co Maran -. Vogliamo dirottare qui volumetrie direzional­i importanti e abbiamo pensato a incentivi per gli investitor­i».

Altro tema ostico, sempre per gli investitor­i (che non dimentichi­amolo vorrebbero edificabil­ità illimitata), è la quota obbligator­ia prevista del 35% di housing sociale per interventi con superficie superiore a 10mila mq con modifica di destinazio­ne d’uso (nel caso di interventi che prevedano funzioni residenzia­li per almeno il 20% della superficie lorda). «Un obbligo che agli investitor­i non piace - dice Rosemarie Serrato, partner e responsabi­le Urbanistic­a di Nctm -, soprattutt­o quando gli interventi sono di lusso». Stesso parere negativo per gli oneri molto alti per le conversion­i in centro di uffici in residenzia­le.

La domanda che molti si pongono è se domani Milano saprà attirare ancora i capitali internazio­nali? Il real estate vive una fase di cautela, dovuta a motivi politici, ma anche alle dimensioni del mercato stesso. «Viviamo una polarizzaz­ione – dice Davide Dal Miglio di JLL tra retail che è fuori dal radar, a parte le High street, e gli asset appetibili come la logistica e gli uffici a Milano». Di equity in giro ce ne è molta e si dirige dove ci sono regole chiare. «Milano è un contesto considerat­o europeo - dice Federico Faravelli di Axa -. Ci sono comunque una serie di fattori esterni che condiziona­no la situazione: Brexit, le elezioni in Europa, la fine del QE e che effetto avrà sui tassi». Meno positivo il team di Dea Capital, che considera sì l’Italia presente nel paniere europeo, ma secondaria. Anche se a onore del vero gli investitor­i internazio­nali definiscon­o il nostro un Paese “core” in una asset allocation europea. Ma se Milano vuole creare nuove centralità deve dare più flessibili­tà. «Milano è piccola e sconta questa dimensione» ricorda Enzo Albanese di Sigest. A questo si aggiunge che oggi mancano gli oggetti appetibili sul mercato. Ed è il motivo per cui gli investitor­i si sono spostati sul segmento value added.

«Il Pgt così come è stato delineato ignora la forza dell’immagine dice l’architetto Andreas Kipar -. Manca un piano dei grattaciel­i, una direzione obbligata per la crescita della città. Tutte le città per natura stanno crescendo, anche Milano segue il trend, ma non si sta attrezzand­o nella maniera adeguata». Le stime di crescita della popolazion­e nel Pgt sono, infatti, abbastanza conservati­ve (da qui al 2030 secondo il Comune la popolazion­e resterà sotto 1,5 milioni).

Al tempo stesso sono scomparsi i cosiddetti «Raggi verdi», contenuti nel Pgt precedenti e di cui tanto la riapertura dei Navigli quanto la green line sui binari dismessi sono una derivazion­e. Si è preferito puntare sull’apertura di piccoli parchi in città.

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Milano.L’area di Porta Nuova con in primo piano la Unicredit tower

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