Salini affonda nel canale di Panama: maxi-rimborso a spese dei costruttori
Il consorzio dovrà restituire 836 milioni di $: il gruppo perde il 20% a Piazza Affari La quota degli italiani è di 217 milioni, nessun impatto sul conto economico 2018
Il Canale di Panama guasta il Natale di Salini Impregilo. Ieri da Miami è arrivata una tegola da oltre 800 milioni di dollari per il consorzio che ha costruito la faraonica opera pubblica, fiore all’occhiello per l’Italia che ne ha costruita una parte (tra cui le gigantesche paratie salpate in nave da Venezia).
Ieri la Camera di commercio internazionale di Miami ha dato torto agli italo-spagnoli che dovranno restituire a Panama una somma pari a 836 milioni di dollari. La notizia ha fatto crollare il colosso italiano a Piazza Affari: le azioni, dopo una prima sospensione al ribasso con un calo del 10%, hanno poi chiuso la giornata con un ribasso monstre del 20%, bruciando 200 milioni di capitalizzazione. Salini Impregilo è così scesa ai minimi storici, a 1,31 euro, un prezzo che mai aveva toccato da quando è nata la società (il 1° gennaio del 2014 dopo la fusione tra Salini e Impregilo): per ritrovare un prezzo simile bisogna tornare indietro di 12 anni, alla vecchia Impregilo quotata, nel 2006.
Quando sembrava che il braccio di ferro sul Canale, scoppiato quattro anni fa, fosse ormai archiviato, riesplode il caso tra la Acp, la autorità panamense proprietaria dell’opera, e il Gupc, il consorzio europeo composto dalla spagnola Sacyr, l’italiana Salini Impregilo e la belga Jan De Nul. Il terzo istmo, inaugurato due anni fa e in grado di poter far transitare dal Golfo del Messico all’Oceano Pacifico le nuove e gigantesche navi Post-Panamax, la più grande costruzione degli ultimi anni al mondo, ha avuto una vita tormentata: i costi, inizialmente stimati attorno a 4,5 miliardi, di cui 1 miliardo finanziato dalla Banca Mondiale e il resto da spesare con i futuri incassi dei pedaggi dell’opera, lievitano a 6 miliardi. A quel punto Panama punta i piedi e contesta i rincari: a Capodanno del 2014 la Acp si rifiuta di riconoscere gli extra costi reclamati dal consorzio(dovuti a problemi geologici incontrati durante i lavori) e le aziende minacciano di bloccare i cantieri.
Scoppia una guerra diplomatica internazionale, su un’opera strategica per i commerci mondiali, con la Ue, nella persona dell’allora commissario Antonio Tajani, in prima fila a difendere gli interessi del consorzio.
La «tempesta» scoppiata senza preavviso ieri è ancora legata a quel vecchio contenzioso: è una costola di quella vecchia lite che si risolse con le parti che accettarono di far decidere a un arbitrato (composto da 3 arbitri, due di parte e uno terzo). Nel 2015 c’è stata una prima sentenza che ha dato ragione agli europei; ma tuttora l’arbitrato sugli extra-costi, che vale 5,2 miliardi, prosegue e si attendono altri giudizi. Nel frattempo, però, è partito un altro filone della querelle giudiziaria: nel 2013 la Acp aveva pagato al consorzio un sostanzioso anticipo per i lavori. Quando scoppiò la questione, con la soluzione di rivolgersi a un arbitro, le due parti concordarono che la restituzione degli anticipi sarebbe avvenuta ad arbitrato finito nel dicembre 2018 (data all’epoca stimata sufficiente). Invece l’arbitrato non è ancora chiuso ma Panama ha chiesto indietro lo stesso la somma, mentre il consorzio aveva invocato una proroga. A Miami non l’hanno concessa e a questo punto Salini Impregilo restituirà la sua quota parte, pari a 217 milioni (più altri 127 milioni che saranno oggetto di un altro arbitrato a marzo 2019) con liquidità già disponibile, senza impatto sul conto economico. L’esborso, per quanto inaspettato e negativo, non giustifica il tonfo in Borsa: probabilmente il mercato non ha tenuto conto dell’incasso americano di Lane (circa 500 milioni di dollari) e dello sblocco del Terzo Valico, che mitiga il contraccolpo arrivato da Miami.