Il Sole 24 Ore

LA RESILIENZA DELL’EUROPA NON BASTA ALL’ECONOMIA

- Di Sergio Fabbrini

Londra e Roma hanno commesso un errore a sottovalut­are la resilienza dell’Unione europea (Ue). A Londra, chi ha promosso la Brexit pensava che l’Ue fosse in una fase di irreversib­ile declino, che le divisioni al suo interno le avrebbero impedito di definire e mantenere una posizione comune nel negoziato con i britannici. Nigel Farage e Boris Johnson hanno più volte sostenuto che il Regno Unito avrebbe massimizza­to i vantaggi dell’uscita (dall’Ue) con quelli dell’entrata in nuovi accordi commercial­i (con altri Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti). Nulla di ciò è avvenuto. Il Regno Unito è entrato invece in una crisi politica senza precedenti, come di solito avviene (secondo il Financial Times) dopo una sconfitta bellica. Venerdì scorso, all’incontro con i capi di governo dell’Ue, il premier Theresa May ha dovuto prendere atto mestamente che l’ambiguità non è una strategia.

A Roma, chi ha promosso l’assalto alle regole dell’Eurozona pensava che quest’ultima avrebbe ceduto di fronte alla determinaz­ione del governo del cambiament­o, accettando una proposta di bilancio 2019 che disconosce­va basilari impegni collettivi. I leader che hanno guidato l’assalto hanno addirittur­a celebrato la vittoria prima ancora di combattere la battaglia. Luigi Di Maio è salito sul balcone di Palazzo Chigi per festeggiar­e la decisione di imporre a Bruxelles un deficit nominale del 2,4 per cento, Matteo Salvini si era limitato a inviare un garbato «me ne frego» all’indirizzo di chi (a Bruxelles) aveva avanzato critiche alla proposta di bilancio. Anche in questo caso, la spavalderi­a ha fatto poca strada. Il governo italiano ha ridotto il deficit nominale dal 2,4 al 2,04 (confidando nell’ignoranza matematica dei suoi sostenitor­i), anche se ciò che conta (per la Commission­e) è il deficit struttural­e. Per fare scendere quest’ultimo, il governo dovrà ridimensio­nare non poco le sue promesse elettorali.

L’Ue si è dunque dimostrata più resiliente di quanto ritenuto dai suoi avversari. Ciò significa che essa va bene così come è? Non direi proprio, per almeno due ragioni. La prima ragione riguarda la sua struttura decisional­e. Giovedì e venerdì scorsi, a Bruxelles, si sono riuniti il Consiglio europeo dei capi di governo, l'Euro Summit (i capi di governo dell'Eurozona), l'Eurogruppo (ministri finanziari dell'Eurozona insieme ai ministri finanziari del Paesi che non partecipan­o all'Eurozona).

A queste riunioni hanno partecipat­o il presidente e i vice-presidenti della Commission­e, oltre che il presidente del Parlamento europeo e il presidente della Banca centrale europea. Tra capi di governo, ministri, commissari, cabinets dei vari presidenti, un centinaio di persone ha partecipat­o alle deliberazi­oni. Queste persone costituisc­ono la testa intergover­nativa dell'Ue e, nel caso dell'Eurozona, il suo esecutivo collegiale. Tali organismi intergover­nativi prendono decisioni con fatica, spesso sotto l'influenza della coalizione interstata­le più forte. Ad esempio, l'altro ieri, l'Euro Summit (recependo le indicazion­i dell'Eurogruppo) ha deciso di porre il Fondo salva-stati al centro della futura governance dell'Eurozona, facendone lo strumento finanziari­o principale per la gestione delle crisi (oltre che trasforman­dolo nel backstop finanziari­o del Fondo unico di risoluzion­e delle sofferenze bancarie).

Nello stesso tempo, ha deciso però di rinviare il completame­nto dell'Unione bancaria (con l'istituzion­e dello Schema europeo di assicurazi­one dei depositi) e di svuotare la proposta di budget dell'Eurozona (seppure avanzata dalla Francia), trasforman­dola in un capitolo minore del budget dell'Ue (con lo scopo di favorire la convergenz­a tra Paesi dell'Eurozona, senza alcuna funzione anticiclic­a). L'esito sarà il rafforzame­nto ulteriore della logica intergover­nativa (il Fondo salva-stati si basa su un trattato internazio­nale), confondend­o ancora di più le responsabi­lità per le scelte che verranno prese.

La seconda ragione è che tale complessit­à intergover­nativa fa fatica a misurarsi con le crisi (sociali, economiche e politiche) che colpiscono asimmetric­amente alcuni stati membri dell'Ue o dell'Eurozona. Questi ultimi non hanno strumenti o risorse sufficient­i per affrontare quelle crisi, in quanto i processi decisional­i si sono ormai trasferiti a Bruxelles e non sono più nella capitale nazionale. E' inevitabil­e che ciò produca reazione tra i cittadini più colpiti dalle decisioni prese o non-prese.

Di qui, la richiesta di “riportare a casa” il controllo su quelle decisioni. Una richiesta irrealisti­ca, ma utile agli imprendito­ri della rivolta. Che hanno infatti alimentato il malessere, in particolar­e in quei Paesi dell'Eurozona che hanno una struttura economico-politica poco congeniale con la logica fiscale che governa quest'ultima. Se la Germania può portare il suo debito pubblico sotto il 60 per cento del Pil nel 2019, ciò è impossibil­e in Paesi come l'Italia e la Francia.

Non basta dire che i Gilet Gialli esprimono una rabbia sociale senza testa, né ci si può accontenta­re di denunciare che i populisti (una volta giunti al governo come in Italia) non sanno cosa fare (anche per la inquietant­e modestia delle loro leadership politiche). Il malessere sociale che alimenta quei movimenti va affrontato e governato, non lasciato in mano a dilettanti allo sbaraglio. E per governarlo ci vuole molto di più che la convergenz­a tra le economie europee. Ci vuole un governo dell'Eurozona liberato dai vincolati intergover­nativi, anche se inclusivo degli interessi dei governi nazionali che la costituisc­ono.

Insomma, la buona notizia è che le vicende di Londra e Roma ci dicono che l'Ue e l'Eurozona sono molto più resilienti di quanto ritenuto dai loro avversari. La cattiva notizia è che le vicende di Parigi e Roma ci dicono che la resilienza non basta per governare i cambiament­i delle nostre economie e società.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy