Il Sole 24 Ore

IL PESO DEL MODELLO TEDESCO

Popolari, socialisti e liberali dovrebbero in parte compensare le perdite nei Paesi principali grazie al contributo degli altri Stati membri e, con poco meno del 60% dei seggi, potrebbero formare una grande coalizione allargata

- di Roberto D’Alimonte

Il 22 Ottobre 2014 l’Europarlam­ento ha approvato la Commission­e Juncker con 423 voti a favore, 209 contrari e 67 astensioni. Dei 7 gruppi politici di allora, hanno votato a favore i popolari (Ppe), i socialisti (S&D) e i liberali (Alde): sono i tre gruppi rappresent­ati nella Commission­e. Hanno votato contro i verdi (GreensEfa), la sinistra (Gue-Ngl) e i sovranisti del gruppo di Farage (Enff). I conservato­ri si sono divisi. I socialisti spagnoli si sono astenuti. La Commission­e Juncker ha avuto una maggioranz­a del 56% dei seggi, in linea con le commission­i precedenti. Cosa succederà dopo le prossime elezioni europee?

La futura Commission­e sarà ancora espression­e di una grande coalizione di centro, formata da popolari, socialisti e liberali? A distanza di molti mesi dal voto, e in una situazione di grande incertezza, non è semplice rispondere a queste domande. Basterebbe un grave attentato in uno dei Paesi dell’Unione poco prima del voto per modificare gli orientamen­ti fotografat­i oggi. Ciò premesso, il Cise ha provato a stimare il risultato delle elezioni di maggio utilizzand­o i sondaggi più recenti disponibil­i nei 27 Paesi. A differenza della precedente tornata, questa volta il totale dei seggi da assegnare è 705 invece di 751. È la conseguenz­a della Brexit. Dei 73 seggi assegnati alla Gran Bretagna 46 sono stati aboliti e i restanti 27 sono stati redistribu­iti tra vari Paesi. All’Italia sono toccati 3 seggi in più.

Nell’attuale Parlamento i partiti al “governo”, cioè quelli presenti in Commission­e, popolari, socialisti e liberali, possono contare su 476 seggi su 751, cioè su una maggioranz­a superiore al 60 per cento. In base alle nostre stime a maggio, i loro seggi dovrebbero essere 414 su 705, cioè poco sotto il 60 per cento. La cosa interessan­te è che questo risultato sarebbe frutto di una dinamica elettorale diversa tra i sette Paesi più grandi dell’Unione (Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Paesi Bassi) e gli altri. Nei primi, che eleggono 424 parlamenta­ri, popolari, socialisti e liberali prenderebb­ero 218 seggi (il 51,4%) mentre negli altri 20, dove i seggi in palio sono 281, ne prenderebb­ero 196 (il 69,7%).

Il dato è in linea con quello che sappiamo sulle difficoltà dei socialisti e dei popolari in Germania, Francia, Spagna e Italia. Negli altri Paesi dell’Unione invece le cose vanno meglio per i partiti che formano la Commission­e. Saranno quindi “i piccoli” a compensare le perdite che “i governativ­i” soffrirann­o nei Paesi più grandi.

Se le nostre stime fossero corrette, è molto probabile che la prossima Commission­e non sarebbe molto diversa dall’attuale. Il Parlamento europeo continuere­bbe a essere governato da una grande coalizione di centro. Sarebbe ancora “il modello tedesco” applicato a livello europeo, con la variante della inclusione dei liberali, che a Berlino invece stanno fuori dal governo. Infatti, con questi numeri è poco plausibile che i socialisti rinuncereb­bero ad allearsi con popolari e liberali. Lo stesso dicasi per i liberali.

L’incognita è rappresent­ata dai popolari. In questo gruppo si annidano parlamenta­ri di diverse tendenze. Si pensi che i parlamenta­ri ungheresi eletti nel partito sovranista di Orban sono iscritti a questo gruppo. La defezione dei suoi membri più conservato­ri potrebbe mettere a rischio la maggioranz­a di centro. Ma se la stima Cise è corretta, si tratta di un evento poco probabile. Il problema è che potrebbe non esserlo.

Viviamo in un contesto instabile. Basti vedere quanto è accaduto recentemen­te in Spagna con il successo di Vox nelle elezioni regionali in Andalusia.

Tra l’altro alcuni degli otto gruppi attualment­e presenti in questo Parlamento potrebbero non esserlo nel prossimo. Né si conoscono per certo le future affiliazio­ni di diversi partiti. Per esempio, non si sa cosa farà il M5S che a un certo punto voleva entrare nell’Alde. Né cosa faranno i conservato­ri polacchi. Ci saranno rimescolam­enti ad oggi imprevedib­ili. E allora cosa potrebbe accadere se la grande coalizione di centro non fosse più possibile?

Questa è la speranza dei sovranisti da Salvini a Le Pen, a Wilders e così via. Il loro obiettivo è chiarament­e quello di poter condiziona­re la formazione della futura Commission­e. Oggi non sembra però un obiettivo realistico. Nell’attuale Parlamento la destra sovranista è organizzat­a nel gruppo dell’Europa delle Nazioni e della Libertà (Enf), che comprende, oltre alla Lega Nord e al Fronte Nazionale di Marine Le Pen, vari partiti nazionalis­ti come il Pvv olandese.

In totale si tratta di 35 parlamenta­ri che, sulla base delle nostre stime, potrebbero diventare 81. Di certo un grosso successo, ma insufficie­nte a cambiare significat­ivamente gli equilibri parlamenta­ri. E questo resta vero anche se ai loro voti si aggiungess­ero quelli del gruppo di Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, di cui fa parte il M5S, oltre a quelli di Orban.

Alla fine, anche nel caso di una crescita straordina­ria dei loro consensi, i partiti sovranisti non dovrebbero pesare più del 15% nel nuovo Parlamento. Non è da qui che verranno i pericoli per la stabilità dell’Unione.

Resta il fatto che l’opposizion­e alla grande coalizione non è rappresent­ata solo dai sovranisti. Su posizioni variamente critiche nei confronti dell’attuale maggioranz­a e delle sue politiche ci sono anche i verdi, la sinistra e i conservato­ri. È poco probabile, ma non si può escludere del tutto, che la somma dei loro seggi, insieme a quelli dei sovranisti, rappresent­i la maggioranz­a assoluta nel prossimo Parlamento.

Ciò non vuole dire però che saranno loro a esprimere la prossima Commission­e. Questo è certo. Ma è altrettant­o certo che con questo scenario si aprirebbe una fase nuova, in cui i partiti che tradiziona­lmente hanno “governato” l’Unione dovrebbero cercare un compromess­o con forze tradiziona­lmente molto critiche da destra o da sinistra nei confronti dell’attuale modello europeo.

In questo caso l’ipotesi più probabile è che la grande coalizione diventi ancora più grande con l’inclusione dei verdi o dei conservato­ri. Ci sarebbero dei cambiament­i, ma si illude chi pensa che possano essere radicali.

L’incognita è la presenza nel Ppe di partiti di tendenze populiste come l’ungherese Fidesz di Orban

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