DOPO LA SVOLTA DELLA BCE RISCHI DA CONDIVIDERE
La Bce ha annunciato la fine del Quantitative easing (Qe): si limiterà a reinvestire il nozionale dei titoli in scadenza. Nel 2019 circa 180 miliardi di titoli pubblici verranno riallocati in base alla stessa giurisdizione in cui erano state emesse le obbligazioni in scadenza ma con graduali aggiustamenti per rispettare la capital key - la quota in Bce di ogni Banca centrale nazionale (Bcn) - «come emendata nel tempo».
Da gennaio infatti la capital key cambierà per riflettere le dinamiche economico-demografiche europee nell’ultimo quinquennio. La quota della Bundesbank salirà dello 0,82%, seguita dalle banche centrali di Francia e Paesi Bassi, mentre calerà quella di Spagna, Italia, Grecia e Portogallo: in tutto -1,64%.
Per questo gli analisti ritengono che i reinvestimenti favoriranno la Germania a discapito di altri Paesi, specie periferici. Ma non è solo questione di capital key, da cui peraltro in passato ci sono state già deviazioni. L’altro aspetto chiave è la vita media residua (duration) dei titoli del Qe che nel tempo è scesa notevolmente, passando da 8,55 a 7,41 anni. Addirittura, nel caso della Germania la duration è di appena 6,31 anni. Di conseguenza nel 2019 la Germania potrebbe beneficiare di alcuni miliardi di acquisti extra rispetto a quelli cui avrebbe diritto con la nuova capital key.
Se anche i reinvestimenti privilegiassero le brevi scadenze, l’Euro-sistema potrebbe però assorbire una fetta minore del rischio di duration presente nel mercato dei titoli governativi dell’Eurozona. Gli investitori chiederebbero un premio al rischio più alto con conseguente aumento dei tassi a lunga e, quindi, della spesa per interessi. E se è vero che la Bce ha rinnovato l’impegno a un intervento che non abbia impatti distorsivi sulla struttura a termine dei tassi (market-neutrality) - oltre ad assicurare che i tassi resteranno invariati almeno sino alla prossima estate - è anche vero che per ora non sono arrivati i nuovi prestiti agevolati Bce (T-ltro) su cui speravano in molti.
Ed è sfumata anche l’ipotesi di un intervento mirato ad abbassare i tassi di interesse a lunga (operation twist) simile a quello fatto anni fa dalla Federal Reserve. La Bce si troverebbe infatti a dover gestire l’ardua impresa di coordinare molteplici twist a causa dello spread dei vari Paesi membri e della struttura del Qe che attribuisce il 90% degli acquisti di titoli del proprio Governo a ciascuna Bamca centrale nazionale, peraltro con discrezionalità nella scelta dei titoli da comprare, anche in termini di vita residua.
Insomma, si è deciso solo qualche ritocco con la promessa di intervenire se l’outlook sui rischi dovesse peggiorare.
Prima che questo accada occorre superare il tabù della condivisione dei rischi. Ad esempio concentrando i reinvestimenti nei Paesi più indebitati, come fu con il Securities Markets Programme del 2011. Possibilmente, stavolta, restituendo le cedole ricevute sui titoli comprati al governo che le ha pagate e concentrandosi sulle scadenze molto lunghe così da congelare parte del debito dei Paesi periferici nei bilanci delle Bcn e far calare i costi di funding. Se poi si volesse aggredire il tema dello spread e l’anomalo credito Target2 della Bundesbank di oltre 900 miliardi di euro de facto verso i Paesi periferici che tanto preoccupa i tedeschi, bisognerebbe centralizzare i reinvestimenti del Qe in Bce. Questo accontenterebbe tutti e sarebbe una mossa concreta verso gli Stati Uniti dell’Eurozona.
Non è solo questione di capital key: conta anche la vita media residua dei titoli del Qe che è molto diminuita