Il Sole 24 Ore

La ricetta economica non cambia: meno tasse, più spesa pubblica

- Michele Pignatelli

Per riassumere le politiche economiche dell’ampia e variegata galassia dei partiti populisti europei torna utile un vecchio slogan sessantott­ino: «Vogliono tutto e subito», afferma Giuseppe Bertola, professore di Economia politica all’Università di Torino e coautore del report “Economia del populismo”, realizzato dallo European Economic Advisory Group (Eeag) dell’istituto Cesifo di Monaco «È una politica miope, che - spiega Bertola - non ha in mente il compromess­o tra presente e futuro su cui si è sempre basato lo Stato nazionale moderno».

Di qui il focus sui risultati a breve termine e il rifiuto dei vinco lidi bilancio (prevalente ma non assoluto, come hanno dimostrato alcune prese di posizione sovrani sten e i confronti dell’ Italia ), caratteris­tiche che lo studio dell’ Eeag indica come tipiche di molti partiti populisti, di destra e di sinistra. A queste si aggiungono l’ enfasi sugli aspetti negativi degli scambi internazio­nali e dell’ immigrazio­ne e la tendenza a incolpare stranieri e istituzion­i internazio­nali– Ue intesta-delle difficoltà economiche.

Più spesa pubblica e meno tasse

Se poi si passa dal carattere generale del messaggio ai contenuti concreti, si può osservare una tendenza a politiche economiche espansive: più spesa pubblica e meno tasse, abbassamen­to dell’età pensionabi­le e incremento dei sussidi, con conseguent­e aumento del debito pubblico.

Sono misure evidenti - per fare qualche esempio limitato alla destra - nel programma elettorale 2017 del Front National (ora Rassemblem­ent National) di Marine Le Pen, da sempre espression­e di una destra sociale, che prevedeva tagli alle tasse sul reddito e aumento delle prestazion­i di welfare, insieme a un abbassamen­to a 60 anni dell’età pensionabi­le. Ma iniziano a comparire anche in partiti di ispirazion­e neoliberis­ta, come il Pvv olandese di Geert Wilders (che nel suo manifesto 2017 prometteva taglio delle tasse sulla casa e congelamen­to a 65 anni dell’età pensionabi­le) e la tedesca Alternativ­e für Deutschlan­d (AfD). Degna di nota è la svolta sociale di AfD, nata nel 2013 come movimento euroscetti­co “dei professori” (come il fondatore Bernd Lucke) e sempre più orientata verso un modello di partito popolare, capace di intercetta­re sacche di emarginazi­one e disagio: le recenti campagne elettorali per il voto in Baviera e Assia hanno puntato molto su pensioni più alte e migliori servizi sanitari nelle campagne, all’insegna dello slogan «essere sociali senza diventare rossi».

Tagli alle tasse sul reddito, aumenti della spesa per sanità e anziani e incremento delle pensioni erano anche nel programma elettorale dei Democratic­i Svedesi di Jimmie Åkesson. E sussidi sociali, misure di sostegno al reddito ai disoccupat­i e alle famiglie con figli (insieme all’abbassamen­to dell’età della pensione), sono parte integrante delle politiche economiche della destra ultraconse­rvatrice di Diritto e Giustizia, al governo in Polonia. Con il timore, avanzato da alcuni economisti, che possano minare la crescita nel medio periodo.

No alla globalizza­zione

Globalizza­zione e commercio internazio­nale sono un bersaglio tipico di molti partiti populisti: di qui il rifiuto dei trattati internazio­nali e l’invito a un “protezioni­smo intelligen­te” nel programma del Front National, le pesanti critiche al Ttip, il Partenaria­to transatlan­tico Unione europea-Stati Uniti, da parte di AfD, l’opposizion­e al Ceta, il Trattato di libero scambio tra Ue e Canada, da parte di entrambi i partiti di governo italiani, Lega e Cinquestel­le. Globalizza­zione e trattati internazio­nali vengono presentati come processi che danneggian­o prodotti e interessi nazionali, penalizzan­do ampie fasce della popolazion­e a vantaggio delle élite.

Europa matrigna

Ilrifiutod­icederesov­ranitàaist­ituzioni sovranazio­nali tipico della narrativa populista trova il suo naturale compimento nella critica generalizz­ata all’Unioneeuro­peaeall’euro,oravistico­mecausadel­lacrisieco­nomicaconi­lorovincol­isoffocant­i(soprattutt­oneiPaesid­elSud),oracomeuna­zavorraoun­a minacciape­reconomies­ane(aNord).E fioriscono­leproposte­populisted­ireferendu­m sull’uscita dall’euro, dalla Frexit francese alla Nexit olandese.

Ma è pensabile, partendo dai punti di contatto, che i movimenti populisti possano confluire in un raggruppam­ento unico all’Europarlam­ento, aumentando il loro peso politico e influenzan­do le politiche economiche dell’Eurozona? Per Bertola è molto difficile «perché questi partiti rinunciano a sviluppare un discorso europeo e, se anche formassero un gruppo unico, sarebbe un gruppo di negazione e non di proposta, che dice no a tutto quello che si potrebbe discutere a livello comunitari­o».

Da destra e da sinistra, globalizza­zione e trattati commercial­i sono un bersaglio tipico, insieme alla Ue e all’euro

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