La ricetta economica non cambia: meno tasse, più spesa pubblica
Per riassumere le politiche economiche dell’ampia e variegata galassia dei partiti populisti europei torna utile un vecchio slogan sessantottino: «Vogliono tutto e subito», afferma Giuseppe Bertola, professore di Economia politica all’Università di Torino e coautore del report “Economia del populismo”, realizzato dallo European Economic Advisory Group (Eeag) dell’istituto Cesifo di Monaco «È una politica miope, che - spiega Bertola - non ha in mente il compromesso tra presente e futuro su cui si è sempre basato lo Stato nazionale moderno».
Di qui il focus sui risultati a breve termine e il rifiuto dei vinco lidi bilancio (prevalente ma non assoluto, come hanno dimostrato alcune prese di posizione sovrani sten e i confronti dell’ Italia ), caratteristiche che lo studio dell’ Eeag indica come tipiche di molti partiti populisti, di destra e di sinistra. A queste si aggiungono l’ enfasi sugli aspetti negativi degli scambi internazionali e dell’ immigrazione e la tendenza a incolpare stranieri e istituzioni internazionali– Ue intesta-delle difficoltà economiche.
Più spesa pubblica e meno tasse
Se poi si passa dal carattere generale del messaggio ai contenuti concreti, si può osservare una tendenza a politiche economiche espansive: più spesa pubblica e meno tasse, abbassamento dell’età pensionabile e incremento dei sussidi, con conseguente aumento del debito pubblico.
Sono misure evidenti - per fare qualche esempio limitato alla destra - nel programma elettorale 2017 del Front National (ora Rassemblement National) di Marine Le Pen, da sempre espressione di una destra sociale, che prevedeva tagli alle tasse sul reddito e aumento delle prestazioni di welfare, insieme a un abbassamento a 60 anni dell’età pensionabile. Ma iniziano a comparire anche in partiti di ispirazione neoliberista, come il Pvv olandese di Geert Wilders (che nel suo manifesto 2017 prometteva taglio delle tasse sulla casa e congelamento a 65 anni dell’età pensionabile) e la tedesca Alternative für Deutschland (AfD). Degna di nota è la svolta sociale di AfD, nata nel 2013 come movimento euroscettico “dei professori” (come il fondatore Bernd Lucke) e sempre più orientata verso un modello di partito popolare, capace di intercettare sacche di emarginazione e disagio: le recenti campagne elettorali per il voto in Baviera e Assia hanno puntato molto su pensioni più alte e migliori servizi sanitari nelle campagne, all’insegna dello slogan «essere sociali senza diventare rossi».
Tagli alle tasse sul reddito, aumenti della spesa per sanità e anziani e incremento delle pensioni erano anche nel programma elettorale dei Democratici Svedesi di Jimmie Åkesson. E sussidi sociali, misure di sostegno al reddito ai disoccupati e alle famiglie con figli (insieme all’abbassamento dell’età della pensione), sono parte integrante delle politiche economiche della destra ultraconservatrice di Diritto e Giustizia, al governo in Polonia. Con il timore, avanzato da alcuni economisti, che possano minare la crescita nel medio periodo.
No alla globalizzazione
Globalizzazione e commercio internazionale sono un bersaglio tipico di molti partiti populisti: di qui il rifiuto dei trattati internazionali e l’invito a un “protezionismo intelligente” nel programma del Front National, le pesanti critiche al Ttip, il Partenariato transatlantico Unione europea-Stati Uniti, da parte di AfD, l’opposizione al Ceta, il Trattato di libero scambio tra Ue e Canada, da parte di entrambi i partiti di governo italiani, Lega e Cinquestelle. Globalizzazione e trattati internazionali vengono presentati come processi che danneggiano prodotti e interessi nazionali, penalizzando ampie fasce della popolazione a vantaggio delle élite.
Europa matrigna
Ilrifiutodicederesovranitàaistituzioni sovranazionali tipico della narrativa populista trova il suo naturale compimento nella critica generalizzata all’Unioneeuropeaeall’euro,oravisticomecausadellacrisieconomicaconilorovincolisoffocanti(soprattuttoneiPaesidelSud),oracomeunazavorraouna minacciapereconomiesane(aNord).E fiorisconolepropostepopulistedireferendum sull’uscita dall’euro, dalla Frexit francese alla Nexit olandese.
Ma è pensabile, partendo dai punti di contatto, che i movimenti populisti possano confluire in un raggruppamento unico all’Europarlamento, aumentando il loro peso politico e influenzando le politiche economiche dell’Eurozona? Per Bertola è molto difficile «perché questi partiti rinunciano a sviluppare un discorso europeo e, se anche formassero un gruppo unico, sarebbe un gruppo di negazione e non di proposta, che dice no a tutto quello che si potrebbe discutere a livello comunitario».
Da destra e da sinistra, globalizzazione e trattati commerciali sono un bersaglio tipico, insieme alla Ue e all’euro