L’intelligenza artificiale rende gli archivi più partecipativi
A Torino il Polo del ’900 ha avviato, con il centro Her, la sperimentazione su 400mila testi, immagini e film con l’intento di rendere aperto e realmente accessibile il patrimonio culturale
Immaginatevi un’entità simile a un virus con un nucleo dalla massa amorfa e una serie di protesi curvilinee, come una di quelle immagini mediche ingrandite dai microscopi. Immaginatevi poi che questa entità si muova, cresca, gli spuntino nuovi arti o protuberanze. E immaginatevi ancora che questa possa scorrere e crescereall’ internodi un corpo ben definito, un organismo complesso composto di diverse parti. Ecco tenete bene in mente questa immagine biologica perché è quella che meglio definisce il lavoro fatto per gli archivi del Polo del ‘900 dal centro di ricerca Her-Human Ecosystem Relazioni di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico. Ma facciamo un passo indietro: il Polo del ‘900 di Torino è composto da 19 enti che hanno messo a disposizione un archivio complessivodi 400 mila documenti divario genere e natura. Un insieme di testi, immagini, video e film che testimonia nola nostra storia, la crescita di un pensiero moderno composto da diversi approcci come quelli storico, letterario, economico, sociologico, filosofico e artistico. Un bene composto da archivi diversi che vogliono e devono aprirsi al pubblico per la consultazione e, perché no, anche per il riuso. La sfida allora è trovare una formula che permetta una modalità di accesso nuova, più ampia che preveda da subito la partecipazione. Per il direttore Alessandro Bollo l’importante è quindi «sperimentare l’intelligenza artificiale applicata ai suoi archivi per provare a dare una risposta diversa e alternativa a una domanda cruciale e ineludibile: come la società, nel senso più ampio e diversificato possibile, può realmente beneficare del patrimonio culturale ?».
Sostenuti da un bando della Compagnia di San Paolo, Iaconesi e Persico hanno così progettato un’intelligenza artificiale in grado di entrare negli archivi e di alimentarsi, non solo dei contenuti,ma delle ricerche stesse: la si potrebbe chiamare« archivistica partecipativa ». Il progetto ha preso il nome di Sas-Smart Archive Search e rientra nel programma italiano dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 e nell’ambito della Ia Task Force.
Questa sorta di virus, al contrario dei suoi“colleghi ”, non agisce per creare malattia o bloccare i sistemi, bensì vive dell’ecosistema che si viene a creare tra testi e utilizzatori, dagli archivisti ai semplici frequentatori. Non un virus, quindi, ma un agente intelligente, uno smart agent che si serve di tecniche come l’analisi del linguaggio naturale e la computer vision per navigare gli archivi e“leggere” autonomamente i contenuti( audio, video, scritti) imparando progressivamente a riconoscere parole, forme, colori e concetti ricorrenti.
Ma ritorniamo a riprendere quell’immagine iniziale, quell’entità che è poi il grafo che si è generato nel primo workshop. Una tavola di datavi sua liza ti on che nella sua similitudine biologica ci parla di un sistema che in qualche modo richiede, non più solo archiviazione e catalogazione, bensì un’azione addestrativa, un dialogo continuo, una estrazione che può essere dettata da fattori ed esigenze diverse. Per Bollo «Sas rappresenta un punto di inizio, il primo passo per mettere a confronto prospettive, aspirazioni e competenze di esperti dell’Ia, artisti, archivisti e managerculturali per ragionare su scenari futuri che consentano di utilizzare la conoscenza del passato per interpretare la complessità del presente».
Se serpeggia una certa disillusione nel mondo degli open e big data, per cui un’utopia democratica si sta confrontando con normative sempre più rigide e il controllo da parte di pochi e potentissimi gruppi, gli archivi pubblici e le biblioteche rappresentano concretamente la possibilità di mobilitare una partecipazione attiva e modelli nuovi in grado di sovvertire assiomi e, quindi, imporre letture e forme di appropriazione aperte al futuro. Per Bollo «mai come in questa fase diventa cruciale valutare gli impatti sociali, culturali ed economici dei percorsi sperimentali di innovazione culturale attraverso le tecnologie, anche per evitare di commettere gli errori passati di stagioni di grandi investimenti in infrastrutture hi-tech con pochissima verifica dei risultati ottenuti in termini di accesso e partecipazione culturale». Il fine di questo progetto non è ingegneristico ma bensì sperimentale: scienza e tecnologia incontrano l’arte per provare a parlare un linguaggio nuovo e a disseminare semi di senso differente. In questo risiede il vero valore di un’entità che intanto si è insinuata negli archivi e non aspetta altro che dialoghiamo con lei.