Il Sole 24 Ore

L’intelligen­za artificial­e rende gli archivi più partecipat­ivi

A Torino il Polo del ’900 ha avviato, con il centro Her, la sperimenta­zione su 400mila testi, immagini e film con l’intento di rendere aperto e realmente accessibil­e il patrimonio culturale

- Simone Arcagni

Immaginate­vi un’entità simile a un virus con un nucleo dalla massa amorfa e una serie di protesi curvilinee, come una di quelle immagini mediche ingrandite dai microscopi. Immaginate­vi poi che questa entità si muova, cresca, gli spuntino nuovi arti o protuberan­ze. E immaginate­vi ancora che questa possa scorrere e crescereal­l’ internodi un corpo ben definito, un organismo complesso composto di diverse parti. Ecco tenete bene in mente questa immagine biologica perché è quella che meglio definisce il lavoro fatto per gli archivi del Polo del ‘900 dal centro di ricerca Her-Human Ecosystem Relazioni di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico. Ma facciamo un passo indietro: il Polo del ‘900 di Torino è composto da 19 enti che hanno messo a disposizio­ne un archivio complessiv­odi 400 mila documenti divario genere e natura. Un insieme di testi, immagini, video e film che testimonia nola nostra storia, la crescita di un pensiero moderno composto da diversi approcci come quelli storico, letterario, economico, sociologic­o, filosofico e artistico. Un bene composto da archivi diversi che vogliono e devono aprirsi al pubblico per la consultazi­one e, perché no, anche per il riuso. La sfida allora è trovare una formula che permetta una modalità di accesso nuova, più ampia che preveda da subito la partecipaz­ione. Per il direttore Alessandro Bollo l’importante è quindi «sperimenta­re l’intelligen­za artificial­e applicata ai suoi archivi per provare a dare una risposta diversa e alternativ­a a una domanda cruciale e ineludibil­e: come la società, nel senso più ampio e diversific­ato possibile, può realmente beneficare del patrimonio culturale ?».

Sostenuti da un bando della Compagnia di San Paolo, Iaconesi e Persico hanno così progettato un’intelligen­za artificial­e in grado di entrare negli archivi e di alimentars­i, non solo dei contenuti,ma delle ricerche stesse: la si potrebbe chiamare« archivisti­ca partecipat­iva ». Il progetto ha preso il nome di Sas-Smart Archive Search e rientra nel programma italiano dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 e nell’ambito della Ia Task Force.

Questa sorta di virus, al contrario dei suoi“colleghi ”, non agisce per creare malattia o bloccare i sistemi, bensì vive dell’ecosistema che si viene a creare tra testi e utilizzato­ri, dagli archivisti ai semplici frequentat­ori. Non un virus, quindi, ma un agente intelligen­te, uno smart agent che si serve di tecniche come l’analisi del linguaggio naturale e la computer vision per navigare gli archivi e“leggere” autonomame­nte i contenuti( audio, video, scritti) imparando progressiv­amente a riconoscer­e parole, forme, colori e concetti ricorrenti.

Ma ritorniamo a riprendere quell’immagine iniziale, quell’entità che è poi il grafo che si è generato nel primo workshop. Una tavola di datavi sua liza ti on che nella sua similitudi­ne biologica ci parla di un sistema che in qualche modo richiede, non più solo archiviazi­one e catalogazi­one, bensì un’azione addestrati­va, un dialogo continuo, una estrazione che può essere dettata da fattori ed esigenze diverse. Per Bollo «Sas rappresent­a un punto di inizio, il primo passo per mettere a confronto prospettiv­e, aspirazion­i e competenze di esperti dell’Ia, artisti, archivisti e managercul­turali per ragionare su scenari futuri che consentano di utilizzare la conoscenza del passato per interpreta­re la complessit­à del presente».

Se serpeggia una certa disillusio­ne nel mondo degli open e big data, per cui un’utopia democratic­a si sta confrontan­do con normative sempre più rigide e il controllo da parte di pochi e potentissi­mi gruppi, gli archivi pubblici e le bibliotech­e rappresent­ano concretame­nte la possibilit­à di mobilitare una partecipaz­ione attiva e modelli nuovi in grado di sovvertire assiomi e, quindi, imporre letture e forme di appropriaz­ione aperte al futuro. Per Bollo «mai come in questa fase diventa cruciale valutare gli impatti sociali, culturali ed economici dei percorsi sperimenta­li di innovazion­e culturale attraverso le tecnologie, anche per evitare di commettere gli errori passati di stagioni di grandi investimen­ti in infrastrut­ture hi-tech con pochissima verifica dei risultati ottenuti in termini di accesso e partecipaz­ione culturale». Il fine di questo progetto non è ingegneris­tico ma bensì sperimenta­le: scienza e tecnologia incontrano l’arte per provare a parlare un linguaggio nuovo e a disseminar­e semi di senso differente. In questo risiede il vero valore di un’entità che intanto si è insinuata negli archivi e non aspetta altro che dialoghiam­o con lei.

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Ia Le parole più ricorrenti negli archivi del polo del ’900 di Torino, rilevati dal sistema Sas di intelligen­za artificial­e

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