Costruire i musei come presidio di senso contro l’ignoranza
Costruire un museo come M9 di Mestre è stato un atto di coraggio, che ha espresso il profondo senso di responsabilità civile della Fondazione di Venezia, in uno dei momenti più difficili della storia nazionale e internazionale, in cui il confine tra verità e menzogna si fa più labile e il frastuono dei social media copre le voci di quanti con la misura che contraddistingue le persone civili - difendono principi elementari, lasciti quasi dimenticati delle battaglie novecentesche, per la cui affermazione milioni di persone hanno sacrificato la propria vita.
Un museo, infatti, non è una tipologia edilizia o un luogo elitario bisognoso di salutari iniezioni di spasso, ma un’istituzione che simboleggia valori fondamentali per qualunque società progredita: il rispetto, la trasparenza, l’onestà intellettuale, l’ascolto, la condivisione, la partecipazione, l’inclusione, il dialogo, la sostenibilità, la capacità di distinguere i fatti dalle opinioni e di interpretarli correttamente.
Per questa ragione, come accade per l’inaugurazione di una scuola, la fondazione di un museo riveste un significato simbolico per la comunità che lo ospita, lo frequenta e lo fa vivere, dal momento che esprime la fiducia collettiva nei valori dell’educazione, dell’istruzione e della conoscenza.
Un museo, infatti, non è un’azienda, né uno spazio concepito per lo svago, ma - letteralmente - una casa in cui forgiare i valori della cittadinanza e condividere i vantaggi dell’educazione permanente. È una missione che deve essere perseguita in modi coinvolgenti e prestando la massima attenzione alle istanze di tutti i pubblici, ma che qualunque istituzione seria non perde mai di vista, poiché il suo rispetto rappresenta il senso più profondo della propria ragion d’essere.
Un senso minacciato dal disprezzo per la verità storica, gli intellettuali, i professionisti della memoria e le istituzioni che la tutelano e valorizzano, in unm omento incu il’ autoapprendimento più superficiale («l’ho letto su Internet») ritiene di competere con saperi maturati in decenni di studi, un post su Facebook ha la stessa valenza di un articolo scientifico e «i media ufficiali sono corrotti e menzogneri».
Non è un caso se, come antidoto ai veleni dell'ignoranza, negli ultimi dieci anni il numero di musei sia esploso a livello planetario, a difesa della verità, del metodo scientifico, delle gerarchie valoriali, per quanto tedioso possa risultare alle nuove masse digitali l’esercizio di questo compito.
L’ eccesso di pessima informazione, il dilagare dell’ analfabetismo funzionale, la mistificazione liberatoria delle nuove tecnologie, l’incapacità di gerarchizzare le fonti e distinguere tra verità assodate da decenni e panzane dell’altro ieri, sono contrastate da istituzioni nate per silenziare il caos esterno, interpretare fenomeni complessi, spiegare a tutti con linguaggi consoni per sconfiggere la presunzione e l’aggressività degli incompetenti.
Viviamo infatti un momento singolare, in cui le tecnologie, lungi dall'averci resi migliori e più liberi, hanno prodotto un fenomeno senza precedenti nella storia dell’umanità, splendidamente affrontato da Tom Nichols in uno dei saggi più illuminanti dello scorso anno, quel «The Death of Expertise. The Campaign against Established Knowledge and Why it Matters» (Oxford Up 2017), che ha segnato un punto di non ritorno rispetto al ritratto del “cretino” magistralmente tratteggiato nel 1976 da Carlo Maria Cipolla in «The basic laws of human stupidity».
Il mondo ha infatti bisogno dei musei e delle competenze che essi formano: che si tratti di vaccini, fenomeni migratori, populismi autoritari, infrastrutture o diritti dei lavoratori, assistiamo alla cancellazione dell’evidenza storica, alla negazione di progressi che hanno salvato miliardi di vite, alla rimozione di ricordi che pochi decenni fa ci vedevano vittime di pregiudizi e discriminazioni, che oggi riserviamo immemori a chi ha preso il nostro posto di penultimi sulla terra.
Per questo dodici anni fa è stato concepito M9, il Museo del Novecento, che ha scelto di misurarsi in un luogo simbolico come Mestre con una storia che è la storia recente di ognuno di noi, fatta di cicatrici profonde e ferite aperte, di nervi scoperti e memorie brevissime, tipiche delle società che disprezzano passati di cui non bisognerebbe mai vergognarsi, che ignorano il valore della memoria e sottovalutano i pericoli delle sue amnesie.
Guido Guerzoni è stato dal 2007 al 2018 il project manager di M9. L’articolo è un estratto dal catalogo «Guida M9 – Museo del ‘900», edito da Marsilio