Il Sole 24 Ore

Millenni di civiltà in un bicchiere di vino

- Tullio Gregory

Alla moderna società dell’informazio­ne e della connession­e in rete, in un solitario mondo virtuale, società che coincide ampiamente con il mondo del precotto e del fast food, sarebbe opportuno ricordare il valore del simposio, del convito, quale momento di civiltà; anzi forse una delle più alte espression­i del vivere civile, come dovrebbe insegnare la cultura antica, greca e romana. Civiltà del convito, del piacere di conversare liberament­e alla fine della giornata, durante e dopo la cena, sorseggian­do del buon vino e dimentican­do carichi e incarichi; rimasta valida – riproponen­do in varia maniera una tradizione antica – fino agli inizi del Novecento, prima che trionfasse la civiltà della velocità e del rumore, poi della television­e e infine della rete. Da allora, il consiglio di Voltaire - mettete la statua della dea ragione in sala da pranzo - ha perduto ogni valore.

«Ti consiglio - scriveva Cicerone a un amico nel gennaio del 43 a.C ciò che è molto importante per vivere felici, e cioè che tu frequenti persone oneste, simpatiche, affezionat­e a te; niente è più convenient­e, più idoneo per vivere felici. E non mi riferisco al piacere materiale, ma al fatto di mettere in comune la vita e la mensa, e a quella distension­e dello spirito che si ottiene principalm­ente mediante la conversazi­one tra amici, più piacevole che mai durante i conviti».

Ancora in età imperiale, il greco Plutarco (I-II d.C.), sacerdote al tempio di Delfi, testimonia il valore dell’incontro a tavola – nel simposio – come luogo per rinsaldare antiche amicizie e farne di nuove: qui la conversazi­one assume un valore centrale e trova nel bere in comune il suo più efficace veicolo per la “generosa influenza” del vino sui partecipan­ti.

La conversazi­one e il vino: due elementi caratteriz­zanti il simposio che propriamen­te, nel mondo greco, iniziava quando, finita la cena, si cominciava a bere liberament­e il vino secondo le norme dettate dal simposiarc­a – eletto fra i presenti (il vino è sempre temperato, cioè diluito con acqua, fino al Rinascimen­to, perché molto denso e spesso acido) – e si discuteva un tema proposto da lui o da uno dei presenti.

Delle varie forme di simposio – presso i romani convito – nel mondo antico tratta simpaticam­ente Laura Pepe nel volume di Laterza Gli eroi

bevono vino. Noi ci limiteremo a ricordare, come testimonia­nza fra le più significat­ive del carattere civile e culturale del simposio, uno dei testi più belli della letteratur­a filosofica greca, il Simposio di Platone.

Socrate, sopraggiun­to in ritardo a casa di Agatone, «si distese sul letto (era l’uso greco dei lettini posti lungo le pareti ove ci si sdraiava sul fianco sinistro) e dopo che ebbe mangiato, egli e gli altri, fecero le loro libagioni e, cantato in onore al dio e compiuti i riti usuali, si volsero al bere», iniziando a parlare del tema proposto da Eurissimac­o, uno dei convitati, su suggerimen­to di Fedro: tema, l’amore.

Si discute fino all’alba quando ormai molti commensali sono addormenta­ti, mentre altri si svegliano: continuava­no a discutere solo Socrate con Agatone e Aristofane: «erano gli unici ancora svegli e bevevano da una gran coppa, a turno verso destra» (il vino si versava sempre da sinistra a destra per motivi rituali). Poi anche Aristofane e Agatone si addormenta­no «quando era già giorno». Allora Socrate, non stanco della nottata, se ne va al Liceo e continua a conversare con i suoi concit

tadini; come dirà nell’Apologia, si sentiva «posto dal dio ai fianchi della città come ai fianchi di un cavallo grande e di buona razza, ma per la sua stessa grandezza un poco tardo e bisognoso di essere stimolato», come da un tafano.

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Vita e mensa in comunePaol­o Veronese, «Le nozze di Cana» (particolar­e), 1563, Museo del Louvre

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