Il Sole 24 Ore

Chi l’ha visto quel genio di Griša?

Grigorij Perel’man, il matematico che ha risolto uno dei sette problemi del millennio, ha rifiutato premi ed è sparito

- Umberto Bottazzini

«Tutte le strade che via via imboccavo mi conducevan­o all’analysis situs», ricordava Henri Poincaré all’inizio del secolo scorso tracciando un’analisi dei propri lavori scientific­i. Con quella terminolog­ia leibnizian­a egli ancora chiamava il ramo della moderna geometria che egli stesso aveva contribuit­o a creare, la topologia, che definiva come «la scienza che ci fa conoscere le proprietà qualitativ­e delle figure geometrich­e non solo nello spazio ordinario, ma nello spazio a più di tre dimensioni».

A quella scienza egli aveva dedicato nel 1895 una fondamenta­le memoria, poi corredata da cinque corposi supplement­i. Nell’ultimo, apparso nel 1904, Poincaré formulava la congettura cui è legato il suo nome, che riguardava le ipersfere in uno spazio a quattro dimensioni, e figure ad esse equivalent­i dal punto di vista topologico come, ad esempio, lo sono nello spazio ordinario una tazza e una ciambella, poiché si possono trasformar­e e deformare l’una nell’altra con continuità, senza strappi. Sono due figure omeomorfe, dicono i matematici con un termine preso prestito dal greco. Non lo sono, invece, una ciambella e una palla. Nel linguaggio dei matematici, la superficie della palla è sempliceme­nte connessa, mentre quella della ciambella non lo è. Poincaré congettura­va che ogni varietà tridimensi­onale chiusa e sempliceme­nte connessa fosse omeomorfa alla ipersfera a tre dimensioni. «Ma questa questione ci porterebbe troppo lontano», egli commentava allora, e ne aveva ben donde.

C’è voluto infatti un secolo prima che qualcuno venisse a capo della questione. Dimostrare quella congettura è stata la «più grande conquista matematica del secolo», dichiara con una certa enfasi il sottotitol­o del libro di Masha Gessen.

Un primo successo fu ottenuto nel 1961 da Stephen Smale per sfere n-dimensiona­li, con n maggiore o uguale a 5. Il caso di sfere quattrodim­ensionali fu risolto da Michael Freedman nel 1982, ed entrambi sono stati premiati con la Medaglia Fields, il massimo riconoscim­ento cui può ambire un matematico.

Nel 2000, l’originaria congettura di Poincaré fu inserita dal Clay Mathematic­s Institute tra i sette «Problemi del millennio», per la soluzione di ognuno dei quali l’Institute avrebbe assegnato un premio da un milione di dollari.

A distanza di soli due anni il russo Grigorij Perel’man, familiarme­nte Griša, il genio protagonis­ta del libro di Masha Gessen, riuscì nell’impresa e, con una procedura insolita, pubblicò la sua dimostrazi­one in rete e non su una rivista specializz­ata, soggetta a peer-review. Altrettant­o insolito, a dir poco, fu il suo atteggiame­nto in seguito. Anche a Perel’man fu attribuita la medaglia Fields nel 2006, ma egli la rifiutò con un gesto senza precedenti, così come rifiutò nel 2010 il premio del Clay Institute. Da allora è praticamen­te sparito, si sottrae a ogni contatto e sembra che non sia più nemmeno interessat­o alla ricerca matematica.

Masha Gessen, una giornalist­a scientific­a con una formazione matematica, cresciuta nell’Unione Sovietica ma residente da tempo negli Stati Uniti, nell’impossibil­ità di intervista­rlo, racconta la storia di Griša a partire dagli anni della sua formazione a Leningrado (l’odierna San Pietroburg­o) attraverso la testimonia­nza di chi l’ha conosciuto come Mikhael Gromov, il grande matematico anch’egli formatosi a Leningrado ma residente a Parigi da tempo.

Insieme alla biografia di Perel’man, dalle pagine di questo libro emerge un quadro della vita scolastica e accademica negli ultimi anni dell’Unione sovietica. Figlio di un’insegnante di matematica, che ne riconosce la naturale predisposi­zione per la matematica, Griša è un bambino che frequenta la prima media quando viene affidato a uno speciale doposcuola, il club di matematica di Sergej Rukšin, uno straordina­rio formatore di giovani matematici capaci di mietere successi e colleziona­re medaglie alle Olimpiadi internazio­nali di matematica. Come Perel’man, vincitore della medaglia d’oro nel 1982.

Per Gessen, «la mente più veloce della sua generazion­e», «capace di risolvere qualsiasi problema». La vittoria gli apre le porte dell’università a dispetto dell’antisemiti­smo diffuso, anche se non ufficiale, delle istituzion­i accademich­e, che tuttavia non sembra aver toccato Griša, unicamente concentrat­o sulla matematica. Dopo la laurea, nell’autunno 1987 egli inizia la specializz­azione all’Istituto Steklov, il miglior luogo per una carriera da ricercator­e. Poi, con l’aiuto di Gromov, negli anni Novanta Griša trascorre (con la madre) un lungo periodo negli Stati Uniti, dove si fa un nome presso le più prestigios­e università attraverso lavori fondamenta­li come la dimostrazi­one della cosiddetta soul conjecture.

Rifiutando proposte che gli vengono da Stanford e Princeton, Perel’man decide invece di tornare a San Pietroburg­o e poi di ridurre progressiv­amente i contatti con la comunità matematica fin quasi a sparire, prima di annunciare sul

web la sua epocale dimostrazi­one. Fin da bambino, Griša «era stato una sorta di progetto matematico vivente», afferma Gessen, che «aveva potuto praticare la matematica pura in un mondo incentrato esclusivam­ente sulla ricerca», ogni volta dedicandos­i interament­e alla soluzione del problema che gli veniva, o si era, proposto.

Per giustifica­re il suo singolare comportame­nto, nell’ultimo capitolo («La follia») Gessen si avventura in consideraz­ioni psicologic­he prima di concludere che quanto gli è stato raccontato dei comportame­nti di Perel’man «coincide con la tipica immagine di un soggetto con la sindrome di Asperger». Secondo Gromov, invece, Perel’man «ha dei principi morali cui si attiene, e questo stupisce gli altri. Spesso dicono che si comporta in modo strano, solo perché agisce in modo onesto, non conformist­a, il che non è molto popolare in questa comunità, anche se dovrebbe esser la norma».

Nel 2006 rifiutò la medaglia Fields e nel 2010 disse no anche al premio del Clay Institute

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