Convegno a Lucca il 18 dicembre
Il libro Raffaello a Roma edito dai Musei Vaticani (curatrici Barbara Agosti e Silvia Ginzburg) apre di fatto le celebrazioni raffaellesche che toccheranno il culmine nel 2020, quinto centenario della morte di quel grande. Restauri e ricerche dichiara il sottotitolo e infatti i restauri fanno da apripista, da guida alla ricerca storico artistica, sia che si tratti delle Stanze vaticane o dei dipinti celebri custoditi al Prado, al Louvre e a Capodimonte. «Il futuro delle ricerche su Raffaello dovrà fondarsi sempre di più sullo scambio di informazioni fra storico dell’arte, restauratore e analista di laboratorio» aveva scritto il grande raffaellista John Shearman negli atti del «Princeton Raphael Symposium» (1990) e questa filosofia ispira il libro, lo innerva in tutte le 115 pagine del testo e le oltre trecento di magnifiche illustrazioni a colori.
Uno spazio speciale è riservato agli interventi condotti negli ultimi anni sui murali delle Stanze, in particolare su quella detta «della Segnatura» e sull’altra nota come di «Eliodoro». Ne parlano, in un confronto serrato e affascinante, il restauratore Paolo Violini e lo storico dell’arte, direttore dei cantieri, Arnold Nesselrath. Il rispecchiamento fra i mestieri e i saperi del restauratore e quelli dello storico, permettono di affrontare da un angolo visuale nuovo, concentrato sulla pelle della pittura, nodi fondamentali della critica e della storiografia raffaellesche.
Per esempio, come spiegare il mutamento di spazialità (non più prospettica, bramantesca, ma profonda, coinvolgente) e il contestuale viraggio cromatico che caratterizzano lo stile di Raffaello quando si passa dalla Segnatura alla Stanza di Eliodoro? Ne parla Alessandro Ballarin in un capitolo fra i più importanti del libro. Un viaggio di Raffaello a Venezia è possibile ma improbabile e comunque, al livello attuale degli studi, non documentato. Sappiamo però che Agostino Chigi era stato a Venezia nel 1511 e possiamo immaginare che, da raffinato esteta e da collezionista squisito qual era, abbia portato a Roma ed offerto alla ammirazione del suo amico Raffaello, quadri di Giorgione e di Tiziano. In effetti opere di Tiziano giovane quali la Adultera di Glasgow o, più ancora, gli affreschi della Scuola di Sant’Antonio a Padova, sono quanto di più vicino si può immaginare ai partiti cromatici della Messa di Bolsena. L’onda lunga di Tiziano ai suoi esordi, sostenuta e fomentata dai veneziani presenti a Roma in quegli anni (Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo) sta dunque dietro la prodigiosa accelerazione cromatica che l’Urbinate dispiega nella Stanza di Eliodoro. È come se, per usare la famosa iperbole del Longhi, «le ceneri violette nate dal funerale di Giorgione», fossero arrivate fino ai Sediari della Messa di Bolsena o al paesaggio che fa da cornice all’Incontro di Leone Magno con Attila.
Altro nodo fondamentale è rappresentato dal riconoscimento dei livelli di autografia nei dipinti su tavola dell’ultimo Raffaello: dalla Madonna del Divino Amore alla Madonna della gatta di Capodimonte alla pala detta La Perla del Prado, alla Madonna di Francesco I e a quella del cardinal Dovizi da Bibbiena del Louvre. Lo scrutinio filologico della pelle di quei dipinti può essere una fatica improba ma tutto sommato poco producente. Forse ha ragione Ana Gonzalez Mozo del Prado quando, nel suo saggio, scrive che dovremmo limitarci a considerare di Raffaello tutte le opere uscite, lui vivo, dalla sua bottega negli anni fra il 1518 e il 1520. È il maestro a garantirne il livello qualitativo e l’identità stilistica, indipendentemente dalle parziali collaborazioni possibili. Sono opera sua quindi a tutti gli effetti.
Non diversamente dobbiamo comportarci nei confronti delle Logge. In quell’impresa Raffaello ha svolto un ruolo di direttore d’orchestra, di regista che ha fatto parlare i suoi allievi (Penni, Giulio Romano, Polidoro, Perino, Giovanni da Udine fra gli altri) ispirandoli, orientandoli, rettificandoli quando necessario, ma non una delle pennellate nei murali delle Logge è autografo dell'Urbinate. Eppure quando, nel giugno del 1519, le Logge vengono sponteggiate, Baldassarre Castiglione può scrivere alla sua marchesa, Isabella Gonzaga: «Et hor si è fornita una loggia dipinta e lavorata di stucchi, alla antica, opera di Raffaello, bella il possibile e forse più che cosa che si venga oggi dì de’ moderni». Il Castiglione sapeva benissimo come sappiamo noi, specie dopo il fondamentale volume di Nicole Dacos, che molte voci stilistiche popolano le Logge eppure dice e noi diciamo con lui, che quell’opera è di Raffaello.
Fra i saggi presenti nel libro, insieme a quello di Silvia Ferino Pagden sulla fortuna critica di Raffaello analizzata negli anni che stanno fra «Raffaello a Roma» la grande mostra del 1983 e le ultime del 2012 al Louvre e al Prado, è particolarmente importante l’articolo conclusivo di Michela di Macco sulla storia del restauri nelle Stanze vaticane. Da quello mimetico e analogico di Carlo Maratta condotto negli anni 1702-03 ancora nell’aura classica del grande Bellori, a quelli ottocenteschi di Pietro Palmaroli e di Filippo Agricola, alle provvidenze conservative di Biagio Biagetti negli anni Trenta del secolo scorso.
Due sono le caratteristiche fondamentali di queste campagne di restauro. La prima è la consapevolezza della eccellenza, della unicità di quegli affreschi e quindi della necessità di una estrema cautela operativa. La seconda è la collaborazione costante fra restauratori e storici. Perché dietro Maratta c’è il Bellori, dietro Pietro Palmaroli ci sono i grandi accademici romani di primo Ottocento (Stern, Canova, Carlo Fea), dietro l’Agricola c’è Vincenzo Camuccini, dietro Biagetti c’è la cultura lombarda di Beltrami e Cavenaghi. Tutto questo (la prudenza nell’intervenire, la cooperazione costante fra restauratori e storici) ha fatto si che i murali delle Stanze siano arrivati fino a noi in condizioni conservative praticamente eccellenti. Come riconosce Christoph Luitpold Frommel nella sua ultima monografia sulle Stanze; riconoscimento davvero consolante per capolavori che hanno sulle spalle cinque secoli di vita.
A Ettore Modigliani, uno dei più grandi direttori della Pinacoteca di Brera di Milano, è dedicata una ricca giornata di studi
dal titolo: «Fraternità artistica e solidarietà umana. Ettore
Modigliani soprintendente
dal primo Novecento alle leggi razziali».
L’incontro, organizzato da Emaineu Pallegire della Scuola IMT Arti Studi Lucca,
si terrà il 18 dicembre (dalle ore 10) nel Complesso di San Francesco a Lucca. Al tavolo dei relatori P. Pietrini, J. Bradburne, E. Pellegrini, D. Levi, A. Ducci, A. Pacia, S. Sicoli, C. G. Bassanini,
M. Boscolo Marchi, D. Ferrara, F. Coccolo, M. Visentin, E. Franchi, L. Carletti e C. Giometti