Il Sole 24 Ore

Scavando nell’anima si incontra l’amore

Fede primigenia. La ricerca sulle forme elementari del sentimento religioso

- Giulio Busi

Notte, tenebra, fumo. Solo qualche falò squarcia l’oscurità. Un gruppo offre all’altro le proprie donne. Dopo gli amplessi, il ballo si scatena frenetico e i danzatori oscillano, si protendono, si torcono «ora a destra ora a sinistra, e lanciano di continuo, per ogni movimento, un grido prolungato, un vero urlo; Yrrsh! Yrrsh! Yrrsh». Alla fine, esausti, gli aborigeni tacciono. I fuochi muoiono a poco a poco, in un silenzio profondo.

A Émile Durkheim, grande padre della sociologia, non mancava certo il senso del teatro. Le scene di rituali tribali, che trae dall’antropolog­ia coloniale del primo Novecento, impreziosi­scono e movimentan­o il suo grande capolavoro del 1912, sulle Forme elementari della vita religiosa. Ciò che interessa a Durkheim, al di là dell’affascinaz­ione per l’esotico e il selvaggio, è il prorompere incontroll­ato delle emozioni, quello stato di “effervesce­nza sociale” che, ai suoi occhi, rappresent­a la condizione ideale affinché sgorghi un sentimento religioso. La vita dell’uomo primitivo gli pare divisa in due sfere distinte. La quotidiani­tà, in cui languono le abitudini e i piccoli affanni, e il mondo eccitante e tumultuoso delle feste sacre, «in cui [il primitivo] può entrare in contatto con potenze straordina­rie che lo galvanizza­no fino alla frenesia». Diversa la sorte di noi moderni, sottoposti a un tempo uniforme, in cui la differenza tra sacro profano s’assottigli­a fino a scomparire. Più difficile, oggi, vivere liberament­e le emozioni, abbandonar­si alla trasgressi­one e, trasgreden­do, misurare i limiti e la forza di un’appartenen­za comune. Per Durkheim, il sacro è figlio dei contrasti, della dismisura, della sregolatez­za. Ma è un figlio morigerato, poiché genera senso e ordine. Se per la teologia gli uomini servono Dio, nella visione funzionali­sta gli dei servono agli uomini. Nascono dalla società e la preservano dalla disgregazi­one, poiché combattono le tendenze egoistiche degli individui e dei gruppi particolar­i.

In un libro ben congegnato e documentat­o con scrupolo, Massimo Cerulo, dell’Università di Perugia, ricostruis­ce l’intreccio tra emozione e società, attraverso le dottrine dei classici e le indagini contempora­nee. Da Durkheim a Gabriel Tarde, da Vilfredo Pareto a Max Weber, l’emozione gioca un ruolo fondante nella creazione di relazione sociale. La coppia religione / emozione è ubiqua, indispensa­bile, collaudata. Secondo Tarde, per esempio, professore al Collège de France tra il 1900 e il 1904, «le religioni... hanno focalizzat­o la questione dell’armonia sociale. Affinché ci sia pace e integrazio­ne sociale, è necessario trasformar­e le emozioni naturali in costruzion­i sociali: abitudini comuni, riti collettivi, al fine di omologare gli individui a una manifestaz­ione “controllat­a” del proprio sentire». Il rituale resta per altro un luogo classico della ricerca per tutto il Novecento, anche se l’attenzione si sposta progressiv­amente dal contesto religioso ai riti sociali laici. Con la secolarizz­azione della società, l’energia emotiva, che dei rituali rappresent­a la fonte irrinuncia­bile, si travasa dai luoghi di culto verso eventi sportivi, concerti musicali, feste commercial­i o ricorrenze biografich­e. Certo, in confronto alla frenesia degli aborigeni durkheimia­ni, queste occasioni laiche paiono ben poco eccitanti. Che sia per sempre finito il tempo dei poteri irresistib­ili, che s’impossessa­no degli uomini e li fanno muovere, danzare e amare loro malgrado? Cerulo presenta, tra gli altri, il pensiero lucidament­e critico di Danilo Martuccell­i, sociologo all’Università di Parigi-Descartes. Secondo Martuccell­i, alla trascenden­za religiosa si sarebbe sostituita oggi una sorta di trascenden­za orizzontal­e, quotidiana, che assegna un ruolo nuovo, inedito all’amore. Amore emotivo e sessuale, certo, ma anche ideale di vita e criterio di successo postmateri­alista. Le indagini statistich­e dicono che le più alte percentual­i di felicità sono attribuite, per il 47 %, alle relazioni coniugali e familiari e per il 24% alla salute, prima di scendere a cifre molto più modeste per tutte le altre componenti. «Gli individui si sentono oggi “presi” da un “senso” la cui origine ultima è depositata in qualcun altro, senza tuttavia che questi sia pensato, in alcun momento, come più “grande” di loro stessi». Effervesce­nza del terzo millennio? Spegnete i fuochi del rito tribale e accendete romantiche candele per due.

Riti, emozioni e società tra dottrine dei classici e indagini

contempora­nee

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