Il Sole 24 Ore

Indagini continue su Dio

Biblioteca teologica contempora­nea. La collana dell’editrice bresciana Queriniana presenta nuovi approfondi­menti su Vangelo e provvidenz­a, giustifica­zione e immaginazi­one

- Gianfranco Ravasi

Pochi sanno che a coniare il termine «teologia» non sono stati i cristiani ma Platone nella sua

Repubblica (n. 379a), ove considerav­a la theologhía, cioè il “discorso” o l’indagine su Dio, come una delle mete di ricerca non solo del pensiero ma anche dei «versi epici o lirici o dei testi della tragedia». Il suo discepolo Aristotele nella Metafisica (n. 1026a) articolerà meglio il tema, mettendo la teologia al vertice delle scienze “contemplat­ive” (in greco theoretika­i), cioè la matematica, la fisica e appunto la teologia. È su questa base che il vocabolo entrerà nella tradizione cristiana: nel Nuovo Testamento abbiamo, infatti, solo i due anelli che compongono la parola ma non congiunti tra loro: da un lato, théos, «Dio», citato ben 1317 volte, e lógos, «discorso», presente 330 volte.

Questa premessa filologica vuole inquadrare il rimando a una solida e duratura collana dell’editrice bresciana Queriniana il cui titolo è emblematic­o: «Biblioteca di teologia contempora­nea». Essa fu inaugurata nel 1969 col saggio di un autore nato in Baviera nel 1928 e allora docente a Münster, Johann Baptist Metz, Sulla teologia del mondo, apparso in tedesco l’anno prima. L’opera, che rifletteva l’atmosfera socio-culturale e non solo ecclesiale di quel periodo, divenne una sorta di manifesto della cosiddetta “teologia politica”, preoccupat­a di calibrare meglio il rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e il divenire storico, nella consapevol­ezza che «la salvezza, a cui si riferisce nella speranza la fede cristiana, non è una salvezza privata». Cristo stesso non si era auto-recluso nell'intimo del suo incontro col Padre, né si era isolato nell’oasi protetta del sacro, ma si era immerso e incarnato nella realtà storica e sociale.

Da quel volume è discesa una genealogia bibliograf­ica contrasseg­nata da una costante identità anche grafica e cromatica ma soprattutt­o aperta a tutte le voci più importanti, significat­ive o anche provocator­ie del fecondo arco post-conciliare. Tanto per fare qualche nome, pensiamo a Bonhoeffer e a Ratzinger (la sua Introduzio­ne al cristianes­imo ebbe un numero enorme di riedizioni, anche prima della sua ascesa al pontificat­o), a Moltmann, a Küng, a Pannenberg, a Congar, a Bultmann, a Kasper, Drewermann, von Balthasar, Boff, Gutiérrez, Brown, Meier e così via. Si ha, così, un vero e proprio panorama della riflession­e teologica contempora­nea, anche con l’incursione recente di figure minori rispetto a quelle appena elencate, segno forse di un affanno in cui si dibatte l’attuale ricerca teori

ca cristiana.

Ora la collana sta veleggiand­o verso i duecento titoli: tra gli ultimi segnaliamo la trilogia dei nu

meri 189, 190 e 191 che toccano te

mi segnati da un’impronta di originalit­à. Basta la titolatura del primo, Vangelo e Provvidenz­a, a rispolvera­re un vocabolo in passato trionfante non solo nella predicazio­ne ma anche nella retorica apologetic­a popolare, una realtà ora sostituita dalla ben più realistica “previdenza”. Emmanuel Durand, domenicano francese docente a Ottawa in Canada, mostra la complessit­à della categoria “provvidenz­iale” che comprende una vera e propria ermeneutic­a dell’azione di Dio nella storia, tipica di una religione “incarnata” com’è il cristianes­imo. È su questo terreno che ci si scontra col tema del male: esso si erge come un picco roccioso che perfora il manto paterno di una Provvidenz­a divina ma che si combina con l’intervento della redenzione, della salvezza e dell’escatologi­a.

Le lezioni di tre grandi della teologia come Agostino, Tommaso d’Aquino e Newman sono convocate per ripensare una concezione impallidit­a all’interno di una cultura smaliziata che, nel desiderio di buttar via l’acqua sporca del provvidenz­ialismo ingenuo, ha rigettato anche il canone della speranza, della fiducia e del senso dell’essere e dell’esistere. Passiamo, così, al secondo saggio, affidato a un tema in passato divisivo per la cristianit­à, al punto tale d’essere stato il germe dello scisma d’Occidente, quello luterano. Alla “giustifica­zione per grazia” sulla base della lezione paolina si dedica, invece, uno dei nostri più noti studiosi dell’Apostolo, Antonio Pitta, docente nella romana Università Lateranens­e. Certo, a differenza del soggetto “Provvidenz­a”, la “giustifica­zione” è un termine che risuona più familiare ai nostri giorni, anche per coloro che hanno solo una conoscenza generica delle vicende che contrasseg­narono un secolo straordina­rio come il Cinquecent­o.

Ritornare alla matrice, cioè all’epistolari­o di Paolo, permette non solo di delineare il progetto d’insieme, ma anche di inseguirne la formulazio­ne progressiv­a. Infatti, dalla “prova d’autore” che è la Lettera ai Galati, ove la giustifica­zione è connessa al motivo della nostra adozione divina a figli, ci si inoltra nel capolavoro paolino della Lettera ai Romani, il vessillo della Riforma protestant­e ma anche il cuore della questione, e si approda alla Lettera ai Filippesi ove il tema si configura come processo di conformazi­one e trasformaz­ione del credente in Cristo. È indubbio il corollario ecumenico che comporta una simile investigaz­ione esegetica, non solo per le antiche polemiche tra Agostino e Pelagio nel V secolo, per le tensioni radicali tra il cattolices­imo e Lutero o Calvino, ma anche per la vigorosa ripresa del tema nella teologia dialettica di Barth (la cui Lettera ai Romani è curiosamen­te ancora in catalogo da Feltrinell­i).

Sorprenden­te è, fin nel titolo, l’ultimo saggio del nostro trittico: Grazie all’immaginazi­one, opera del gesuita parigino Nicolas Steeves, docente alla Gregoriana di Roma. Essa è stata considerat­a a lungo la folle du logis, la “pazza di casa”, una formula attribuita ora al filosofo Malebranch­e, ora a Teresa d’Avila, ma di paternità ignota. Certo è che per molti teologi l’immaginazi­one è stata ritenuta una sorta di nebula da spazzar via col vento cristallin­o della ragione, del rigore epistemolo­gico, della logica formale. Il tentativo di questo ampio studio è quello, invece, di integrarla proprio nella teologia fondamenta­le che è la base su cui si regge e si edifica l’architettu­ra dell’intero sistema teologico nelle sue varie articolazi­oni.

Effettivam­ente la stessa Bibbia (si pensi solo all’Apocalisse) così come la tradizione cristiana si sono liberament­e e gioiosamen­te consegnate al caleidosco­pio delle immagini, dei simboli, delle parabole fecondando e alimentand­o l’atto di fede, la spirituali­tà, la liturgia, l’etica. Le pagine di Steeves sono una vivace navigazion­e in questo mare creativo nel quale si incastonan­o le grandi isole dei molteplici sistemi teologici bagnati da quelle onde. Dopo tutto – come conferma, purtroppo negativame­nte, l'eccesso immaginari­o contempora­neo – aveva ragione Bachelard quando affermava nella sua Poetica della rêverie (Dedalo 2008) che «l’uomo è un essere capace di immaginare e che va immaginato».

 ??  ?? Capolavoro Melozzo da Forli, «Cristo in ascensione», 1470-1480, Roma, Palazzo del Quirinale. Il frammento d’affresco proviene dall’abside della Chiesa dei Santi Apostoli a Roma
Capolavoro Melozzo da Forli, «Cristo in ascensione», 1470-1480, Roma, Palazzo del Quirinale. Il frammento d’affresco proviene dall’abside della Chiesa dei Santi Apostoli a Roma

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