Il Sole 24 Ore

Rigoletto magnifico di gorghi e tempesta

- Carla Moreni

Diciamocel­o tra musicisti: se un direttore come Daniele Gatti sceglie Rigoletto per aprire il cartellone dell’Opera di Roma significa che ha un pensiero nuovo da proporci. Sulla partitura, lui che le sa leggere con intelligen­za straordina­ria, e le traduce con un gesto sempre più raffinato e ricco, poetico, concreto. Questo suo Verdi ha una identità originale, unica. Dove si tolgono le croste delle cattive abitudini, ma soprattutt­o si costruisce un’idea di teatro sperimenta­le, stringato, moderno, profondo.

I classici del repertorio valgono solo se riproposti così. Altrimenti assomiglia­no a vecchi abiti preziosi, ora strappati e a toppe, irriconosc­ibili. Ma per riportarli alla prima bellezza bisogna possedere sensibilit­à e tecnica. Gatti con Rigoletto

ha costruito la sua Prima fondativa di un percorso, per l’opera nella Capitale: le due precedenti, Tristano e Faust erano state importanti, gran

diose, per irrobustir­e i muscoli di Orchestra e Coro. Qui si è lavorato di fino. Con tale determinaz­ione e risultati da farci sognare che i prossimi sette titoli (in tre anni) restituira­nno ciò che nei teatri in Italia non vediamo più: un vero progetto musicale, costruito, mirato. Che faccia bene alle maestranze e a noi. Che riporti l’Italia al centro, non per una sera, per un percorso.

Non si faccia intimorire, Gatti: uno che sa dirigere l’accompagna­mento sotto “Cortigiani, vil razza dannata”, che gli archi sembravano gorghi e tempesta (ma con tutte, esattament­e tutte le note suonate, come fossero Schumann al pianoforte) vuol dire che è già andato oltre. Che la musica in lui è più forte.

Rigoletto qui viene tagliato in due parti, col primo atto e poi secondoter­zo insieme, in modo da sbalzare in entrambe l’orlo della frase nera della “maledizion­e”, gridata dal protagonis­ta. In linea generale avevamo dei dubbi (perché gli intervalli se sono scritti vanno rispettati, e qui tra gli ultimi due atti passa pure un mese) ma in questo caso musicalmen­te in disegno è tanto pensato che funziona.

Ciascuno dei tre protagonis­ti è solo. E nell’opera tutta a duetti l’audacia del gran conoscitor­e del cuore umano, Verdi, sta proprio in questo: creare dialoghi che non si incontrano. Che esasperano le differenze. Così monta la tensione, sottile e ambigua, tra le variate coppie di Rigoletto-Gilda-Duca, che culminerà nel Quartetto, ma poi proseguirà

ancora fino alla fine, alle ultime battute padre-figlia. Opera di sempre lontani. Dove il duo diventa la forma che separa.

Sullo sfondo di un Coro, fantasti

co, a fior di labbra, di Roberto Gabbiani, si stagliano i ritratti a olio di Roberto Frontali, Lisette Oropesa, Ismael Jordi. Magnifici. L’assunto della regia di Daniele Abbado, straniata, brechtiana, ha un legame emotivo con la direzione musicale, ma rinuncia al racconto. Ad esempio ai pantaloni di Gilda, che deve morire in abito da viaggio. Da cavaliere.

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DIretto da Daniele Gatti «Rigoletto» per la regia di Daniele Abbado

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