Il Sole 24 Ore

Un Nobel sul coffee table

Esce per Skira un libro di indimentic­abili scatti che il fotografo Jerry Schatzberg fece al cantautore dal 1965, appena 24enne e baciato dal trionfo di «Blonde on Blonde»

- Pier Andrea Canei

Bob di qua, Dylan di là. È già quasi ufficialme­nte de rigueur stravedere per Dylan/ Schatzberg, librone illustrato (ed. Skira) con tutti i migliori ritratti che il fotografo di moda Jerry Schatzberg (classe 1927, ebreo newyorches­e molto branché, amico di Andy Warhol, scattava per Vogue e McCalls ed ebbe l’idea di ritrarre i Rolling Stones da infermieri­ne en travesti, e una parodia di Sgt Peppers dei Beatles con Frank Zappa e i suoi Mothers) fece all’irresistib­ile Bob Dylan del 1965, 24enne, fresco reduce dal trionfo artistico dell’album Blonde on Blonde schiumava

coolness e riccioli elettrici. Il risultato è (per usare questo termine iperbanali­zzato senza tema di spropositi) iconico: proprio nel senso che il Dylan by Schatzberg, bianco e nero, riccioli, abbigliame­nto minimal nero con colletto abbottonat­o, sigarette e occhiali da sole “per avere più carisma e sintomatic­o mistero”, divenne un’icona sixties da qualche parte sulla scala tra la bionda Marylin e il Che col berretto rivoluzion­ario. L’icona del Cantautore Impegnato che fa breccia nel discorso culturale mainstream, un poeta filosofo rockstar (memorabilm­ente impersonat­o qualche anno fa da Cate Blanchett in un film situazioni­sta di Todd Haynes, I’m

not there). Ciò detto, sono 255 pagine di foto di questo tizio icona del Novecento: bel soggetto per carità, intenso, espressivo in ogni singola smorfia. «Ma chi se lo compra?», ci si potrà non a torto chiedere.

Beh, chi ha un coffee table da arredare, i cultori dell’immagine e della fotografia, e i completist­i Dylaniani. Già messi a dura prova, questi ultimi, da una recrudesce­nza anche discografi­ca: certo se il fotografo svuota l’archivio, la label non vorrà essere da meno. Ecco allora More blood, more tracks, il volume 14 della cosìdetta Bootleg Series: un saccheggio di archivi. Stavolta composto da registrazi­oni “rare”, versioni prime o alternativ­e di un’altra pietra miliare dylaniana come Blood on the tracks, l’album del 1975 con cui un amareggiat­o, e prematurat­o quasi-35enne Dylan esplora varie tonalità di amore andato a male, separazion­e, rabbia, e nostalgie relative.

Un capolavoro assoluto la cui lavorazion­e si svolse a cavallo tra New York e Minneapoli­s, con molte prime versioni giudicate troppo asciutte e tristanzuo­le (tutto armonica chitarra e lamentela), e rivitalizz­ate quindi successiva­mente a suon di band, basso batteria eccetera. In questo More blood, more tracks di risulta si recuperano tutte quelle versioni grezze, tristanzuo­le e crudiste; che per carità c’è un poeta da Nobel alla chiarra e armonica; ma vuoi mettere quanto ci guadagna, con il calore della band, anche solo una ballata country come Lily, Rosemary & the Jack

of hearts, che sembra l’episodio pilota

per una serie western (e si spera molto in Luca Guadagnino, che stando alle cronache si sta attrezzand­o per trarre un film intero da

Blood on the tracks)?

Inutile ricordare non esistono più “rare registrazi­oni”, e che “outtakes” è solo un eufemismo per “scarti di lavorazion­e”: così come, a ben vedere, un album entra nella storia anche perché frutto di un lavoro a sottrarre: selezione, rimaneggia­mento, scarto (per i più completist­i, non manca la versione hardcore con 6 cd di questi materiali di risulta). Ma Blood on the

tracks è fatto di canzoni dolorose che leniscono i dolori di chi ascolta, e questo principio attivo dylaniano è presente anche nelle versioni di More blood; ma prive del calore rock che sprigionan­o le versioni con band,

Insomma, se l’annata 1965 frutta dividendi in termini di elettrific­azione e foto “iconiche”, non pochi dylanofili preferisco­no questo Blood del 1975, ricco di ballate struggenti quanto nutrienti per l’anima

(Shelter from the storm, Tangled up in blue, Simple twist of fate) e di qualche indimentic­abile nota aspra

(Idiot wind), anche in questa versione “Ur”-blood non filtrata. Ma intanto, che fa il Bob Dylan del 2018? Fa scena muta ma fascinosa andando al circo con l’entertaine­r Usa Jimmy Fallon; una marchetta, pardon, un’ospitata di prestigio, per promuovere il suo whisky Heaven’s

door. Certo, ogni poesia è distillato, ma (altroché Mezzanine dei Massive Attack ridotto a bomboletta spray) l’idea di un Dylan da degustazio­ne “blood on the rocks” è imbattibil­e. Cin cin.

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1966Dylan giocoso ripreso da Schatzberg

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