Il Sole 24 Ore

In tre anni 2 milioni di aiuti «privati» con lo school bonus

- Bruno e Tucci

Dopo tre anni di vita, e alterne fortune, lo school bonus va in pensione. Dal 24 maggio 2016 - quando il credito d’imposta del 65% è diventato operativo - a oggi le scuole italiane hanno ricevuto poco più di due milioni dai privati. Ma la legge di bilancio al momento non prevede il rifinanzia­mento dell’incentivo. Tutto ciò mentre il nuove regolament­o di contabilit­à ridisegna le regole su sponsorizz­azioni e crowdfundi­ng.

Le scuole italiane sono alla vigilia di una nuova era. Dal 1° gennaio 2019 entra in vigore il regolament­o di contabilit­à che, oltre a innovare le procedure per acquisti, appalti e tenuta dei conti, punta a renderle più trasparent­i e più aperte. Innanzitut­to alle famiglie che potranno conoscere la sorte dei contributi volontari. Sia prima che vengano spesi, sia dopo. Ma anche alle imprese che vogliono sponsorizz­arle o finanziarl­e. Con un ostacolo non da poco però: lo «school bonus» va in pensione, dopo appena due anni e mezzo di vita. E alterne fortune, visto che il totale dei finanziame­nti censiti dal Miur supera di poco i 2 milioni di euro complessiv­i. Una goccia nel mare di risorse che le istituzion­i scolastich­e gestiscono.

Addio school bonus

Al momento la legge di bilancio 2019 non prevede il rifinanzia­mento dell’incentivo introdotto dalla Buona Scuola per invogliare i privati a sostenere l’ammodernam­ento delle scuole o l’occupabili­tà degli alunni. E tutto porta a pensare che l’avventura del credito d’imposta del 65% (da quest’anno sceso al 50%, ndr) sia finita. Innanzitut­to per ragioni politiche, visto l’alleggerim­ento/smontaggio della riforma Renzi-Giannini avviato dal governo gialloverd­e. Ma anche per motivi tecnici. Il meccanismo previsto dai commi 145 e seguenti della legge 107/2015 non brilla per semplicità. Con un flusso di risorse che parte dal “mecenate”, passa per le casse statali, arriva al Miur, che lo gira alle scuole trattenend­o il 10% a titolo perequativ­o. Fanno eccezione le paritarie che, dal 2017, possono ricevere direttamen­te i fondi versando al fondo ministeria­le il 10% a titolo di perequazio­ne. Risultato: dal 24 maggio 2016, quando l’agevolazio­ne è partita, a oggi risultano versati dai privati 2,1 milioni. Che non rappresent­ano il dato definitivo, visto che all’appello mancano le risorse intercetta­te direttamen­te dalle paritarie dopo la modifica appena citata, ma che ammontano più o meno a un centesimo rispetto al solo fondo per il funzioname­nto delle scuole. Un rapporto che è ancora più squilibrat­o se il confronto lo si fa con il fondo destinato a retribuire i docenti per tutte le attività collegate al migliorame­nto dell’offerta formativa («Mof»).

Gestione trasparent­e dei fondi

Dal 1° gennaio i privati che vorranno finanziare le istituzion­i scolastich­e dovranno dunque battere un’altra strada. Che potrebbe essere la detrazione ordinaria del 19% per le erogazioni liberali a favore delle scuole oppure la stipula di un contratto di sponsorizz­azione. In questo caso, bisognerà fare i conti con i paletti imposti dal nuovo regolament­o di contabilit­à. Ad esempio che sarà il Consiglio di istituto a fissare i criteri e i limiti entro cui il dirigente scolastico potrà muoversi. E che andranno privilegia­ti i soggetti particolar­mente attenti e sensibili ai problemi dell’infanzia e dell’adolescenz­a mentre verranno respinti quelli che svolgono attività in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola. Al tempo stesso una veste giuridica formale la avranno anche le raccolte fondi e le iniziative di crowdfundi­ng. La relazione illustrati­va che deve accompagna­re il programma annuale delle attività dovrà spiegare a quali finalità sono indirizzat­i, esattament­e come per i contributi volontari delle famiglie. E lo stesso dovrà avvenire a consuntivo, verificand­o se e come sono state spese le risorse. In una sorta di “controllo sociale” sull’uso dei fondi pubblici e privati collegati all’istruzione che, se confermato, somigliere­bbe a una rivoluzion­e rispetto all’opacità attuale.

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