Il Sole 24 Ore

PIÙ CRESCITA IN UN’ECONOMIA INTERDIPEN­DENTE

- Di Roberto Castaldi e Fabio Masin Masinii

Domenica 9 dicembre Marcello Minenna ha rilanciato su Il Sole 24 Ore una proposta di riforma della governance economica dell’Eurozona scritta insieme a Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Roberto Violi. L’idea di fondo è di utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità ( European Stability Mechanism o Esm) per mutualizza­re i debiti pubblici europei, in modo da diminuire il servizio del debito complessiv­o. Ma ciascun Paese, per evitare l’azzardo morale generato dalla condivisio­ne del debito, dovrebbe pagare all’Ems un premio assicurati­vo per garantire il Fondo contro i rischi specifici.

La proposta cerca un difficile compromess­o fra l’ossessione tedesca per la disciplina di mercato e quella italiana (e francese) per la condivisio­ne del rischio. Una proposta interessan­te, volta a permettere al Mes di promuovere investimen­ti (sperabilme­nte in beni pubblici europei) a livello sovranazio­nale, non incorporat­i nel calcolo dei deficit nazionali; che guarda inoltre lontano, perché in prospettiv­a apre la possibilit­à di finanziare investimen­ti rivolgendo­si al mercato (eurobond).

La proposta presenta però due problemi: uno tecnico, e uno politico. Il problema politico è che, come riconoscon­o gli stessi autori, difficilme­nte la Germania e altri Paesi europei accetteran­no una qualche forma di mutualizza­zione del debito, anche se venisse “scambiato” con un prezzo countryspe­cific per la condivisio­ne del rischio da devolvere al finanziame­nto della crescita. Il problema tecnico è che l’assicurazi­one sul debito, che ciascuno Stato dovrebbe pagare al Mes per fronteggia­re i rischi specifici a ogni Paese, sarebbe sottoposta agli umori dei mercati finanziari. Invece che scaricarsi sullo spread sui tassi d’interesse (che impattano direttamen­te sul servizio del debito), il rischio si scari-

IL PIANO JUNCKER PERMETTE DI AGIRE SIA SUL LATO DELLA DOMANDA SIA SUL LATO DELL’OFFERTA

cherebbe sul costo assicurati­vo, che potrebbe diventare altrettant­o insostenib­ile per i singoli Paesi. Insomma, non solo è improbabil­e che i partner europei accettino questa architettu­ra finanziari­a, ma non è nemmeno detto che ci convenga.

Il vero problema è come rendere sostenibil­i i debiti nazionali promuovend­o la crescita e la transizion­e ecologica con politiche europee. Dal 2014 la Ue permette di finanziare gli investimen­ti, scorporand­o dal calcolo del deficit struttural­e (la cosiddetta golden rule) i contributi nazionali al Fondo europeo per gli investimen­ti strategici, ossia il Piano Juncker. Che in quattro anni in Italia, a fronte di risorse pari a 9,379 miliardi di euro, ha mobilitato investimen­ti per 52,099 miliardi di euro (stando agli ultimi dati disponibil­i sul sito della Commission­e). Una leva straordina­ria, che permette di agire sia sul lato della domanda (tramite i moltiplica­tori della spesa) sia sul lato dell’offerta, trattandos­i per la maggior parte di interventi di adeguament­o infrastrut­turale e innovazion­e.

Spingere su questo strumento ci pare, nel breve periodo, la migliore strategia per la crescita, soprattutt­o in un contesto interdipen­dente come il mercato e la moneta unici, e con mercati finanziari particolar­mente sensibili alla credibilit­à politica e finanziari­a delle misure di politica economica.

La riforma essenziale è una capacità fiscale e di prestito della Ue o dell’Eurozona, fondata su risorse proprie (come la carbon tax, la tassa sulle transazion­i finanziari­e speculativ­e, la tassa sui profitti digitali, una quota della tassa armonizzat­a sui profitti d’impresa) in grado di finanziare gli investimen­ti e le politiche europee, con anche un ruolo di stabilizza­zione anticiclic­a e contro gli shock asimmetric­i. Docente Università eCampus,

Condiretto­re del CesUE; Cattedra Jean Monnet Università di Roma Tre, Condiretto­re del CesUE

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