La Fed rialzista nel mirino di Trump
Atteso domani il quarto aumento dei tassi del 2018, probabilmente al 2,5% Il presidente tuona contro la Banca centrale: un altro incremento sarebbe folle
La Federal Reserve sembra andare verso un altro rialzo dei tassi. Ed è di nuovo finita nel mirino di Trump. Mercoledì il Federal open market committee, l’organismo esecutivo della banca centrale americana, dovrà decidere se aumentare i tassi di interesse. Dalla fine del 2015 la Fed ha alzato i tassi a breve otto volte, dallo zero virtuale al 2-2,25 per cento. Le attese sono per un altro ritocco, al 2,5 per cento: sarebbe il quarto del 2018. La mossa della banca centrale americana è legata al surriscaldamento dei mercati, ai timori per l’aumento dell’inflazione e tenta di scoraggiare le speculazioni, alimentate dai bassi tassi di interesse. L’inflazione è vicina al target Fed del 2 per cento. All’ultima lettura, l’indice dei prezzi al consumo era salito del 2,2% rispetto allo scorso anno.
Wall Street si aspetta un rialzo dei tassi. Le probabilità di un aumento di un quarto di punto per gli investitori sono del 77%, secondo Cme FedWatch. Anche se in un sondaggio di Wells Fargo-Gallup il 61% degli intervistati sostiene che la Fed non dovrebbe continuare ad aumentare il costo del denaro. La stessa tesi sostenuta da Donald Trump e dai suoi (anche l’economista Navarro) preoccupato per gli indici azionari e con un occhio già alle elezioni 2020. Non ha mancato di farlo sapere. E dal fine settimana ha iniziato a inviare messaggi alla banca centrale. Dapprima in un’intervista a Reuters ha detto che un altro aumento «sarebbe una cosa folle». Ne ha riparlato su Fox News: «Speriamo che la Fed non aumenti ancora i tassi».
In ultimo ieri in un tweet: «È incredibile che con un dollaro molto forte e con un’inflazione virtualmente inesistente, con il mondo che sta esplodendo attorno a noi, con Parigi che brucia e la Cina che rallenta, la Fed stia anche solo pensando a un altro rialzo dei tassi». Tensioni che non aiutano a eliminare la volatilità dai mercati finanziari, come mostra la seduta di ieri, con Wall Street che si prepara a chiudere il dicembre peggiore dal 1980.
Trump aveva già criticato nei mesi scorsi la Fed e Powell dopo l’ultimo rialzo dei tassi di settembre. A metà ottobre, all’indomani di una seduta molto negativa di Wall Street, aveva puntato di nuovo il dito sulla banca centrale: «La Fed è impazzita» aveva twittato seminando il panico tra gli investitori. È consuetudine per i presidenti americani non commentare le scelte della banca centrale, a tutela dell’istituzione e della sua indipendenza. Ma con Trump alla Casa Bianca tutte le regole del galateo istituzionale sono state messe da parte. Le pressioni sulla Fed sono aumentate, dunque, alla vigilia di una decisione difficile che rischia di scontentare o i mercati o la politica. «Sarebbe uno shock per i mercati se la Fed decidesse di capitolare alla politica», dice David Kotok, chief investment officer di Cumberland Associates. Il rischio è quello della perdita di fiducia da parte degli investitori sulla stabilità del sistema finanziario. Come ricorda l’analista, storicamente l’influenza della politica sulle banche centrali ha avuto sempre come risultato inflazione e iperinflazione. E cita tre esempi su tutti: il Venezuela di Maduro, lo Zimbabwe di Mugabe e la repubblica di Weimar.
Wall Street nel 2019 si attende una diminuzione dei rialzi Fed da 4 a 2, per i segnali di rallentamento dell’economia globale, americana e per arginare l’aumento dei costi per mutui immobiliari e finanziamenti auto. Una pausa nei rialzi nella prima metà del 2019 - scrive Pimco in una nota – è molto probabile. Le proiezioni della Fed sui tassi (i “dots”) segnalano due rialzi nel 2019, a marzo e settembre, e uno nel 2020, secondo Bank of America Merrill Lynch. Goldman Sachs che ha sempre parlato di quattro rialzi nel 2019 ha ammorbidito le sue stime. Preoccupa l’inversione della curva di rendimento dei T-Bond: il benchmark dei titoli di stato a 2 anni ha superato il rendimento dei bond a 5 anni. Segnale per molti di un prossimo rallentamento.
In ogni caso, Powell si trova ad affrontare la sfida più grande per un governatore della banca centrale dai tempi della crisi subprime: riuscire a indirizzare la politica monetaria americana nonostante la variabile Trump.