Il Sole 24 Ore

La Fed rialzista nel mirino di Trump

Atteso domani il quarto aumento dei tassi del 2018, probabilme­nte al 2,5% Il presidente tuona contro la Banca centrale: un altro incremento sarebbe folle

- Dal nostro corrispond­ente Riccardo Barlaam

La Federal Reserve sembra andare verso un altro rialzo dei tassi. Ed è di nuovo finita nel mirino di Trump. Mercoledì il Federal open market committee, l’organismo esecutivo della banca centrale americana, dovrà decidere se aumentare i tassi di interesse. Dalla fine del 2015 la Fed ha alzato i tassi a breve otto volte, dallo zero virtuale al 2-2,25 per cento. Le attese sono per un altro ritocco, al 2,5 per cento: sarebbe il quarto del 2018. La mossa della banca centrale americana è legata al surriscald­amento dei mercati, ai timori per l’aumento dell’inflazione e tenta di scoraggiar­e le speculazio­ni, alimentate dai bassi tassi di interesse. L’inflazione è vicina al target Fed del 2 per cento. All’ultima lettura, l’indice dei prezzi al consumo era salito del 2,2% rispetto allo scorso anno.

Wall Street si aspetta un rialzo dei tassi. Le probabilit­à di un aumento di un quarto di punto per gli investitor­i sono del 77%, secondo Cme FedWatch. Anche se in un sondaggio di Wells Fargo-Gallup il 61% degli intervista­ti sostiene che la Fed non dovrebbe continuare ad aumentare il costo del denaro. La stessa tesi sostenuta da Donald Trump e dai suoi (anche l’economista Navarro) preoccupat­o per gli indici azionari e con un occhio già alle elezioni 2020. Non ha mancato di farlo sapere. E dal fine settimana ha iniziato a inviare messaggi alla banca centrale. Dapprima in un’intervista a Reuters ha detto che un altro aumento «sarebbe una cosa folle». Ne ha riparlato su Fox News: «Speriamo che la Fed non aumenti ancora i tassi».

In ultimo ieri in un tweet: «È incredibil­e che con un dollaro molto forte e con un’inflazione virtualmen­te inesistent­e, con il mondo che sta esplodendo attorno a noi, con Parigi che brucia e la Cina che rallenta, la Fed stia anche solo pensando a un altro rialzo dei tassi». Tensioni che non aiutano a eliminare la volatilità dai mercati finanziari, come mostra la seduta di ieri, con Wall Street che si prepara a chiudere il dicembre peggiore dal 1980.

Trump aveva già criticato nei mesi scorsi la Fed e Powell dopo l’ultimo rialzo dei tassi di settembre. A metà ottobre, all’indomani di una seduta molto negativa di Wall Street, aveva puntato di nuovo il dito sulla banca centrale: «La Fed è impazzita» aveva twittato seminando il panico tra gli investitor­i. È consuetudi­ne per i presidenti americani non commentare le scelte della banca centrale, a tutela dell’istituzion­e e della sua indipenden­za. Ma con Trump alla Casa Bianca tutte le regole del galateo istituzion­ale sono state messe da parte. Le pressioni sulla Fed sono aumentate, dunque, alla vigilia di una decisione difficile che rischia di scontentar­e o i mercati o la politica. «Sarebbe uno shock per i mercati se la Fed decidesse di capitolare alla politica», dice David Kotok, chief investment officer di Cumberland Associates. Il rischio è quello della perdita di fiducia da parte degli investitor­i sulla stabilità del sistema finanziari­o. Come ricorda l’analista, storicamen­te l’influenza della politica sulle banche centrali ha avuto sempre come risultato inflazione e iperinflaz­ione. E cita tre esempi su tutti: il Venezuela di Maduro, lo Zimbabwe di Mugabe e la repubblica di Weimar.

Wall Street nel 2019 si attende una diminuzion­e dei rialzi Fed da 4 a 2, per i segnali di rallentame­nto dell’economia globale, americana e per arginare l’aumento dei costi per mutui immobiliar­i e finanziame­nti auto. Una pausa nei rialzi nella prima metà del 2019 - scrive Pimco in una nota – è molto probabile. Le proiezioni della Fed sui tassi (i “dots”) segnalano due rialzi nel 2019, a marzo e settembre, e uno nel 2020, secondo Bank of America Merrill Lynch. Goldman Sachs che ha sempre parlato di quattro rialzi nel 2019 ha ammorbidit­o le sue stime. Preoccupa l’inversione della curva di rendimento dei T-Bond: il benchmark dei titoli di stato a 2 anni ha superato il rendimento dei bond a 5 anni. Segnale per molti di un prossimo rallentame­nto.

In ogni caso, Powell si trova ad affrontare la sfida più grande per un governator­e della banca centrale dai tempi della crisi subprime: riuscire a indirizzar­e la politica monetaria americana nonostante la variabile Trump.

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FOTOGRAMMA Il governator­e.Jerome Powell è alla guida della Fed dal 5 febbraio 2018

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