L’assetto aziendale non scusa il sindaco
Il ruolo dell’organismo ha anche l’obiettivo di evidenziare inadeguatezze Non basta che le operazioni contestate abbiano superato le verifiche interne
La complessità organizzativa di una società di investimenti non attenua né il ruolo né i doveri del collegio sindacale
La complessità organizzativa di una società di investimenti non attenua in alcun modo né il ruolo né i doveri del collegio sindacale; al contrario, ogni singolo componente dovrebbe subito eccepire l'inadeguatezza delle procedure aziendali per la corretta gestione societaria (vale a dire, dei protocolli del decreto legislativo 231/2001), condividendo, in difetto, la responsabilità per omissione con gli stessi amministratori per eventuali condotte illecite.
Nel respingere definitivamente i ricorsi di due sindaci di Telecom nella vicenda Onda - sanzionati dalla Consob per violazione dell'articolo 149 del Tuf, inerente appunto i doveri del collegio sindacale - la Cassazione (Seconda sezione civile, sentenze 32573 e 32574 depositate ieri) torna a ribadire i compiti rafforzati dell'organo di vigilanza, anche e anzi tantopiù se inserito in un contesto societario non “semplicissimo”. Ciò, aggiunge la Corte, non solo per la finalità della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti degli abusi di gestione, ma anche per la stessa verifica dell'adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno delle società di investimenti.
La Seconda sezione, nel respingere tutte le doglianze dei ricorsi - risolti con motivazione identica - sgombra il campo anche sul tema dei rapporti tra i controlli di gestione interni e il ruolo dei sindaci. Questi ultimi non possono invocare a propria esimente la circostanza che le operazioni contestate, come nel caso trattato, fossero già passate indenni dal comitato di controllo interno, giacché questo è semmai orientato «alla verifica del contenuto economico dell'operazione» e non invece a quella delle correttezza tecnica-giuridica degli atti di amministrazione.
Il collegio sindacale, argomenta la Corte, è sempre tenuto ad esplicare la sua funzione di controllo ed è ritenuto responsabile in ogni caso di omesso e inadeguato esercizio dell'attività di controllo, non essendo il danno un elemento costitutivo dell'illecito, quanto invece parametro per la determinazione della sanzione. La responsabilità dei sindaci sussiste quindi indipendentemente dall'esito delle singole operazioni ed anche a fronte di insufficienti informazioni da parte degli amministratori, potendo i sindaci avvalersi della vasta gamma di strumenti informatici ed istruttori messi a disposizione dal Testo unico della finanza,
Neppure i due ulteriori motivi di ricorso, dalla richiesta di applicazione delle sanzioni più tenui entrate in vigore dopo la commissione dell'illecito (favor rei) alla lamentazione circa l'asserita incostituzionalità del procedimento amministrativo (in quanto di fatto afflittivo come un processo giurisdizionale) hanno trovato accoglimento. Sul primo versante i giudici hanno ribadito l'autonomia del procedimento amministrativo - che non conosce, appunto, il favor rei, e quando succede è per esplicita volontà del legislatore (per esempio in materia tributaria e valutaria) - mentre sulla presunta afflittività para-penale della norma sui sindaci (articolo 149 del Tuf ) la Seconda afferma la non assimilabilità alle sanzioni per manipolazione del mercato, e, in definitiva, all’ormai celebre caso Grande Stevens.