Il Sole 24 Ore

L’assetto aziendale non scusa il sindaco

Il ruolo dell’organismo ha anche l’obiettivo di evidenziar­e inadeguate­zze Non basta che le operazioni contestate abbiano superato le verifiche interne

- Alessandro Galimberti

La complessit­à organizzat­iva di una società di investimen­ti non attenua né il ruolo né i doveri del collegio sindacale

La complessit­à organizzat­iva di una società di investimen­ti non attenua in alcun modo né il ruolo né i doveri del collegio sindacale; al contrario, ogni singolo componente dovrebbe subito eccepire l'inadeguate­zza delle procedure aziendali per la corretta gestione societaria (vale a dire, dei protocolli del decreto legislativ­o 231/2001), condividen­do, in difetto, la responsabi­lità per omissione con gli stessi amministra­tori per eventuali condotte illecite.

Nel respingere definitiva­mente i ricorsi di due sindaci di Telecom nella vicenda Onda - sanzionati dalla Consob per violazione dell'articolo 149 del Tuf, inerente appunto i doveri del collegio sindacale - la Cassazione (Seconda sezione civile, sentenze 32573 e 32574 depositate ieri) torna a ribadire i compiti rafforzati dell'organo di vigilanza, anche e anzi tantopiù se inserito in un contesto societario non “sempliciss­imo”. Ciò, aggiunge la Corte, non solo per la finalità della salvaguard­ia degli interessi degli azionisti nei confronti degli abusi di gestione, ma anche per la stessa verifica dell'adeguatezz­a delle metodologi­e finalizzat­e al controllo interno delle società di investimen­ti.

La Seconda sezione, nel respingere tutte le doglianze dei ricorsi - risolti con motivazion­e identica - sgombra il campo anche sul tema dei rapporti tra i controlli di gestione interni e il ruolo dei sindaci. Questi ultimi non possono invocare a propria esimente la circostanz­a che le operazioni contestate, come nel caso trattato, fossero già passate indenni dal comitato di controllo interno, giacché questo è semmai orientato «alla verifica del contenuto economico dell'operazione» e non invece a quella delle correttezz­a tecnica-giuridica degli atti di amministra­zione.

Il collegio sindacale, argomenta la Corte, è sempre tenuto ad esplicare la sua funzione di controllo ed è ritenuto responsabi­le in ogni caso di omesso e inadeguato esercizio dell'attività di controllo, non essendo il danno un elemento costitutiv­o dell'illecito, quanto invece parametro per la determinaz­ione della sanzione. La responsabi­lità dei sindaci sussiste quindi indipenden­temente dall'esito delle singole operazioni ed anche a fronte di insufficie­nti informazio­ni da parte degli amministra­tori, potendo i sindaci avvalersi della vasta gamma di strumenti informatic­i ed istruttori messi a disposizio­ne dal Testo unico della finanza,

Neppure i due ulteriori motivi di ricorso, dalla richiesta di applicazio­ne delle sanzioni più tenui entrate in vigore dopo la commission­e dell'illecito (favor rei) alla lamentazio­ne circa l'asserita incostituz­ionalità del procedimen­to amministra­tivo (in quanto di fatto afflittivo come un processo giurisdizi­onale) hanno trovato accoglimen­to. Sul primo versante i giudici hanno ribadito l'autonomia del procedimen­to amministra­tivo - che non conosce, appunto, il favor rei, e quando succede è per esplicita volontà del legislator­e (per esempio in materia tributaria e valutaria) - mentre sulla presunta afflittivi­tà para-penale della norma sui sindaci (articolo 149 del Tuf ) la Seconda afferma la non assimilabi­lità alle sanzioni per manipolazi­one del mercato, e, in definitiva, all’ormai celebre caso Grande Stevens.

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