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Due miliardi in meno di spesa il primo anno (4,7 miliardi invece dei 6,7 previsti nel primo testo del disegno di legge di Bilancio), per poi salire a 8 miliardi nel 2020 e 7 miliardi nel 2021. Si svilupperà entro questi tetti la nuova anzianità con “quota 100”, valida solo per il prossimo triennio. Per cogliere questa possibilit­à di uscita bisognerà avere almeno 62 anni di età e 38 di contributi, limiti che consentono un pensioname­nto fino a cinque anni prima rispetto ai requisiti di anticipo (42 anni e 10 mesi anche nel 2019) o di vecchiaia (67 anni). Il limite di spesa verrebbe garantito, secondo il governo, da una clausola di garanzia: si prevede che le finestre trimestral­i di posticipo del pensioname­nto dei quotisti possano allungarsi di altri tre mesi in caso il numero di domande presentate all’Inps dovesse risultare maggiore del previsto. La regola della “finestra mobile” varrà sia per i dipendenti privati e gli autonomi, sia per i dipendenti pubblici, per i quali ultimi il posticipo sarà doppio, non inferiore ai sei mesi. La platea attesa, tenendo conto dell’effetto del disincenti­vo del divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro sopra i 5mila euro e fino a un massimo di 5 anni, dovrebbe di 315mila persone nel 2019, di cui circa 160mila del settore pubblico. Le ipotesi tecnico-politiche prevedono una percentual­e di ritiri con “quota 100” non superiore all’85% degli aventi diritto. Ma molti osservator­i tecnici temono invece che la durata triennale possa avere un effetto contrario, con un’adesione di massa. Intenzione del governo è far seguire a “quota 100” una misura che consenta il pensioname­nto anticipato per tutti con 41 anni di contributi. Ma questo ulteriore intervento, procrastin­ato nel tempo, non vedrà la luce nel decreto legge.

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