Il Sole 24 Ore

IL POPULISMO AL GOVERNO, LA RECESSIONE CHE AVANZA

- Di Sergio Fabbrini

Nessun Paese membro dell’Eurozona è mai giunto ad approvare la propria legge di bilancio con le modalità e i tempi con cui lo stiamo facendo noi in questi giorni. Arrivato sull’orlo del precipizio (l’esercizio provvisori­o), il governo ha ieri presentato in Senato un maxi-emendament­o che sostituisc­e interament­e il disegno di legge di bilancio per il 2019, senza che gli stessi senatori della maggioranz­a sapessero di cosa si trattava. Per il governo, tale disordine (finanziari­o e istituzion­ale) è dovuto alle resistenze di Bruxelles. Come ha detto il premier, «dopo tutto a negoziare si è in due». Le cose sono andate davvero così? Non pare proprio.

Guardiamo i fatti. Nel 2010, l’Unione europea (Ue) ha introdotto una procedura di coordiname­nto delle politiche economiche dei suoi stati membri nota come Semestre europeo. Tale procedura riguarda tutti i 28 Paesi dell’Ue ma in particolar­e i 19 che costituisc­ono l’Eurozona. Essa è finalizzat­a a favorire la compatibil­ità delle specifiche politiche di bilancio nazionali (con le regole del Patto di stabilità e crescita) prima della loro approvazio­ne da parte dei singoli parlamenti nazionali. Il Semestre inizia in estate a Bruxelles, per finire negli ultimi tre mesi dell’anno nelle singole capitali nazionali. E così è avvenuto anche questa volta. Il 23 maggio 2018, la Commission­e ha pubblicato le raccomanda­zioni specifiche ad ogni singolo Stato membro, sulla base dello stato delle singole finanze pubbliche e delle previsioni relative agli andamenti economici. Il 22 giugno 2018 il Consiglio dei ministri economici e finanziari degli stati membri (Ecofin), tra cui il nostro ministro, ha discusso le raccomanda­zioni della Commission­e, quindi approvate dai capi di governo (tra cui il nostro premier) del Consiglio europeo nella riunione del 28 giugno 2018.

Il 13 luglio 2018, il Consiglio Ecofin (con il nostro ministro presente) ha adottato formalment­e le raccomanda­zioni della Commission­e, riviste e precisate dal Consiglio europeo, avviando così la fase finale del Semestre europeo. Il 2 ottobre 2018, il Consiglio Ecofin (con il nostro ministro presente) si è riunito per formalizza­re l’intesa comune sulle proposte di raccomanda­zioni specifiche per Paese.

Da quel momento, la parola è passata ai parlamenti nazionali e ai loro governi, cui spetta stabilire la composizio­ne del bilancio in coerenza con i valori concordati collettiva­mente. Alla fine di ottobre, però, i valori di bilancio relativi all’Italia sono stati cambiati unilateral­mente dal nostro governo, inviando a Bruxelles una Nota di aggiorname­nto che smentiva apertament­e le decisioni da esso prese in precedenza. Da ciò è nata la negoziazio­ne con la Commission­e, durata due mesi, che si è conclusa pochi giorni fa (lasciando molte questioni ancora aperte). Dunque, la responsabi­lità del disordine di questi giorni è primariame­nte italiana. C’è poco da discutere. C’è invece da discutere sui quesiti politici sollevati da questa vicenda. Tre in particolar­e.

Primo. Il governo italiano, invece di spiegare perché aveva smentito gli impegni presi nelle riunioni di giugno, luglio e ottobre 2018, ha aperto il fuoco contro la Commission­e (il cui compito è quello di far rispettare gli accordi presi dagli stessi governi, tra cui il nostro). Invece di riconoscer­e che l’opposizion­e alla sua proposta di bilancio è provenuta dagli altri 18 governi dell’Eurozona, il nostro governo ha cercato invece di presentare la Commission­e come il nemico «che ci vuole dettare la legge di bilancio» (opinione, quest’ultima, condivisa anche da importanti esponenti della stessa opposizion­e). In realtà, la Commission­e ha il compito di far rispettare i saldi di bilancio (relativi all’aggiustame­nto struttural­e e al debito), non già di sostituire o cancellare i programmi di spesa. La responsabi­lità per la legge di bilancio 2019 è esclusivam­ente del governo e della sua maggioranz­a. Quando la smetteremo di trasferire a Bruxelles responsabi­lità che sono di Roma?

Secondo. I leader populisti del governo hanno dimostrato di non sapere cosa fare quando occorre agire in contesti di alta interdipen­denza finanziari­a ed economica. Nella negoziazio­ne con Bruxelles, i nostri due vice-premier hanno dovuto lasciare il comando ai ministri non-politici del governo (e soprattutt­o ai disprezzat­i tecnici del Ministero dell’Economia e delle finanze). La loro competenza politica non era sufficient­e per prendere decisioni che hanno una forte valenza tecnica, mentre è indubbia la loro competenza elettorale per surriscald­are le paure o la rabbia dei cittadini. Per governare, può bastare la seconda in assenza della prima?

Terzo. I nostri leader populisti hanno confermato la loro idiosincra­sia verso le istituzion­i della rappresent­anza. La settimana scorsa, la Camera dei deputati ha dovuto votare, con voto di fiducia, una legge di bilancio che era già stata cambiata. Ieri, il Senato ha votato una legge di bilancio diversa da quella presentata alla Camera, senza che quella legge venisse preliminar­mente valutata nella Commission­e apposita, come prevedono le pratiche parlamenta­ri. Stessa cosa avverrà la settimana prossima alla Camera. Nel passato, anche altri governi avevano utilizzato il voto di fiducia per fare approvare la legge di bilancio, mai avevano però imposto al Parlamento di votare una legge da esso sconosciut­a. È una democrazia senza Parlamento, o con un Parlamento svuotato, che vogliamo per l’Italia?

Insomma, il disordine dell’approvazio­ne della legge di bilancio la dice lunga sulle conseguenz­e dei populisti al governo. Essi non riconoscon­o le regole democratic­he europee e nazionali. Hanno bisogno di nemici per legittimar­si. Nel frattempo, la recessione avanza nell’economia come nella democrazia.

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