Copertina Il presepe degenerato senza oro, incenso e mirra
Il racconto. Invece dell’oro dei Magi si aspetta la tredicesima. Invece del fumo d’incenso c’è la corsa ai regali, e la tredicesima va in fumo. E la mirra? Oggi è il balzo natalizio del Pil
Mi sono accorto di essere nel post postmoderno quando in casa mia il presepe ha incominciato a degenerare. È stato un fenomeno lento, che ha preso avvio dai re Magi. I re Magi devono essere spostati di giorno in giorno e arrivare alla capanna per l’Epifania. All’inizio è stato per distrazione, dei re Magi nessuno s’era ricordato, neanche mia prozia, e sono rimasti a oziare ai margini del presepe, oltre i monti, che di solito erano fatti di corteccia d’albero, ma quell’anno, forse per un leggero gusto per l’orrido, erano di carbone antracite, pezzi di antracite lucenti ed erti, che formavano una conca alpina; quindi si deve immaginare un paesaggio nero, quasi infernale, coi re Magi sconsolati e leggermente atterriti dai dirupi ancora da valicare. Mancava tra l’altro la Stella Cometa che doveva guidarli, perché oscillando appesa ad un filo era finita sulla candela che rischiarava la capanna ed era bruciata, cioè non bruciata, si era sciolta la plastica, e i lustrini d’oro erano affumicati, per cui i re Magi, dal loro punto d’osservazione, vedevano in cielo un asteroide combusto e sembrava non ne volessero più sapere di andare avanti; anche perché due di loro erano rotti, quello dell’oro e quello della mirra, Gaspare e Melchiorre, per cui restava solo il re nero che portava l’incenso, ma tra di noi in famiglia ci si era sempre chiesti a cosa serviva a un neonato l’incenso, che ingurgitato è velenoso e provoca coliche; per non parlare della mirra, che gli antichi egizi usavano per imbalsamare i cadaveri: che dono era? Secondo l’opinione prevalente in famiglia erano doni da menagrami. E l’oro? In nessun testo canonico se ne è saputo più nulla. Chissà che san Giuseppe non l’avesse malamente investito in buoni del tesoro o in titoli tossici, che è come dire volatilizzato; poteva tenerlo come bene rifugio, ma è notorio che san Giuseppe non era laureato in economia.
Durante le feste natalizie col presepe ci si giocava anche; l’attrazione maggiore era il laghetto, di acqua vera dentro un tegame nascosto dalla stagnola. Nel laghetto quell’anno, non so messo da chi, girava un motoscafo col motore a pila, non si badava all’anacronismo, ma tutti i pastori erano stati riuniti sul bordo del lago, come se non si interessassero più al gregge ma alla novità tecnologica; facevano da spettatori alla corsa in tondo del motoscafo, era stato naturale disporli così. Anch’io fossi stato pastore sarei corso sul lago tralasciando l’arcaica economia pastorizia. Intanto il gregge si era disperso in mezzo al carbone, dove non cresce erba e un gregge langue; era tutto raccolto in una specie di valle nera, spaventato dal motore del motoscafo. I pastori in teoria avrebbero dovuto stare col gregge in adorazione della capanna, invece erano tutti in adorazione del motoscafo, qualcuno perfino prosternato al bordo dell’acqua, per loro era un natante avveniristico; anche nella realtà se sul lago di Tiberiade fosse comparso un motoscafo ai tempi dell’impero romano, portato dai re Magi in dono, i pastori si sarebbero affollati a guardarlo, e forse l’impero romano avrebbe fatto un enorme passo in avanti: con la pila e il motore elettrico il gap tecnologico sarebbe stato tale che l’imperatore Costantino non sarebbe più ricorso al cristianesimo col famoso editto, ma si sarebbe motorizzato, motorizzando l’esercito.
L’anno dopo, memori delle novità paesistiche, al posto della Stella Cometa c’era un’astronave di latta che mandava lampi intermittenti; i pastori erano in fuga assieme alle pecore. I monti erano rimasti di antracite, e anche i prati si era preferito farli di cenere, di modo che il territorio palestinese era diventato lunare; e, non avendo voluto nostra madre darci il tegame che serviva per friggere, invece del laghetto c’era un cratere come ce ne sono sulla luna. Giuseppe e Maria, loro pure atterriti dall’astronave, scappavano, lei ad est, lui ad ovest. Il bambinello era rimasto in mezzo alla paglia beato, nonostante la crisi della famiglia, perché non gli si poteva togliere l’aria beata pur nel dissesto ambientale. Il bue e l’asinello erano accucciati dentro il cratere, oltre l’area d’azione dell’astronave, venendo meno alla loro funzione di riscaldamento col fiato; che però aveva sempre lasciato perplessi, essendo la capanna piena di spifferi; chi l’aveva concepita non aveva la minima cognizione di che cosa vuol dire dispersione termica, risparmio energetico, edilizia ecologica. Mia prozia Elvira voleva che togliessimo l’astronave; ma la Stella Cometa era un grumo informe, e qualcosa ci voleva per orientare i re Magi. Né si poteva levare al bambino Gesù l’aria contenta, per cui risultava contento dell’astronave: in questo paesaggio devastato e postatomico c’era almeno qualcuno beato e contento. D’altronde non era così impossibile che un’astronave aliena fosse venuta a guardare cosa succedeva a Betlemme in quel giorno che si rivelerà così importante per il pianeta. Gli ufologi dicono che siamo sotto osservazione, che la Stella Cometa era in realtà lo splendore di una nave aliena, e che oro incenso e mirra siano il propellente del futuro, un dono non ancora compreso dall’umanità.
Dei re Magi solo il nero era rimasto intero, Baldassarre, che si confondeva con il carbone; degli altri due restava una testa in mezzo alla cenere, che sembrava uscire da sottoterra come uno zombi, mentre di Gaspare c’era un braccio che dal cammello levava in aria la mirra, il carburante futuro, questa l’interpretazione di mio cugino, che voleva dare un significato a tutto, ed era ufologo e cavilloso. Come si capirà la degenerazione aveva invaso il presepe, e in un certo senso noi si godeva, non con spirito irriverente, ma così, si godeva nel rimodernarlo e renderlo congruo al progresso, dando nuove posture alle statuette, anche loro esauste dalla ripetizione, ogni anno sempre lo stesso gregge, i re Magi sempre daccapo come non avessero mai imparato la strada, la donnetta che tira su dal pozzo in eterno lo stesso secchio, un falegname che sega e non arriva mai in fondo al suo tronco.
Il terzo anno di quest’epoca di transizione è stato l’anno della crisi totale; tentavamo di dare un riscaldamento alla capanna, vista l’inadeguatezza termica dell’asinello e del bue. Si è optato per una stufa in stagnola, con una candela forse sovradimensionata, che ha dato fuoco alla capanna e alla carta stellata del cielo, ed è stato il disastro, una vampata, ed è stato tutto un campo di cenere; il bambinello di gesso è rimasto sorridente, solo un po’ più scuro, in un insieme paesistico inabitabile, post riscaldamento globale; avevamo precorso i tempi, un po’ troppo, perché eravamo già arrivati a ciò che è scritto e previsto nell’Apocalisse, quando cade la stella ardente, la temperatura media è pari a una stufa, il cielo si arrotola come un foglio di carta, e il mondo s’avvia al finale.
Così le statuine sono state messe via, inscatolate, senza rimpianti. E intanto noi si diventava adulti. Senza illusioni, sciolte esse pure, cioè mutate: invece dell’oro dei re Magi si aspetta oramai solo la tredicesima; invece del fumo d’incenso, c’è il consumismo e la corsa ai regali, che mandano in fumo la tredicesima. E la mirra? La mirra oggi è il balzo natalizio del Pil, dovuto all’aumento globale delle transazioni durante il santo Natale; quindi il terzo re Mago simboleggiava il Pil, noi non lo sapevamo, ma l’avevamo intuito, infatti quando torna via, subentra il disavanzo e la quaresima.
Tra il comico e l’irriverente, Cavazzoni ci narra la Natività di un’era post postmoderna