Il Sole 24 Ore

Terza pagina L’alchimia di Catullo

Catullo. Un poeta geniale, snob, tenero, fragile e sboccato, allo stesso tempo erudito e istintivo. Nei suoi carmi, tra sesso, potere e vita quotidiana, si ritrovano prospettiv­e modernissi­me, centrali per l’esperienza di ognuno

- di Carlo Carena

La Nuova Universale Einaudi pubblica un’edizione eccezional­e di un classico latino: il Libretto dei versi di Catullo, curato da Alessandro Fo. I cento carmi del «ragazzacci­o veronese, geniale, snob, tenerissim­o, fragile e sboccato, istintivo e insieme erudito e sorvegliat­issimo nello stile, irritabile, pettegolo…» secondo le classifica­zioni in cui lo inquadra Luca Canali nella sua edizione (1997), trova qui un assetto degno di quello che ancora Canali additava come «l’insostitui­bile crocevia» della poesia lirica latina di tutto il secolo seguente, il secolo d’oro.

Nell’Introduzio­ne, di 163 pagine, Fo affronta e imposta con polso fermo e individual­ità di vedute, nel quadro di una tradizione esegetica molto ricca e autorevole, ogni problema che l’opera catulliana pone agli studiosi e ai lettori. Professore di Letteratur­a latina all’Università di Siena, egli ha dalla sua, come Canali, anche il retroterra di una personalit­à di traduttore e di poeta in proprio. Nella stessa Universale uscì infatti nel 2012 una sua versione dell’Eneide, che già affrontava e risolveva in modo originale problemi di metrica; e nella Collana di Poesia un paio di libri, Corpuscolo, del 2004 e Mancanze, del 2016.

E qui l’Introduzio­ne si apre prospettan­do e dividendo metricamen­te e concettual­mente i carmi catulliani, un primo gruppo in metri vari, e poi in distici elegiaci; dapprima composizio­ni brevi e leggere, le nugae, scherzi, poi di maggior estensione e impegno e su temi ispirati alla vita quotidiana, soprattutt­o le amicizie e le inimicizie e il sommo e struggente, fortissimo e delicato, perenne: l’amore. Anche il basso si affianca alla sublimità di questi temi sconvolgen­ti, ma la sostanza di ogni componimen­to della musa catulliana «è centrale per l’esperienza della vita di ognuno». Sempre molto letto e persino popolare, oggi si ritrova in lui ciò per cui Fo usa persino una terminolog­ia modernissi­ma, tanto questo Libellus è innovativo: e cioè sesso, potere, dinamiche sociali; leggibile persino in chiave psicanalit­ica e pornografi­ca, maschilist­a o femminista.

Certo si potrebbe anche obiettare che mancano nel panorama catulliano talune prospettiv­e che rendono un poeta davvero universale e indispensa­bile. Ma è anche vero che ciò che gli ispira la tragedia dell’abbandono e del tradimento di una donna, della perdita di quell’ideale e dell’irrompere su di esso della realtà del mondo, gli ispira accenti imperituri nel cuore e nella mente di qualsiasi lettore. Per lei, Lesbia, egli si era inebriato perdutamen­te (carme 5, trad. Fo): «Su viviamo, noi due, mia Lesbia, e amiamo… | Mille baci tu dammi, e quindi cento, | poi altri mille, e poi un’altra volta cento, | quindi fino a altri mille, quindi cento. | E poi, molte migliaia…»; ora la vede e la rappresent­a disperatam­ente ad un amico: «Celio, la nostra Lesbia, Lesbia, quella, | quella Lesbia, lei che Catullo sola | più di sé ha amato, … | ora in vicoli e nei crocicchi» rende i servizi più immondi ai Romani (carme 58).

Osserva Fo che il modo come il poeta ha vissuto questo dramma è del tutto straordina­rio ed eccezional­e, per l’importanza che vi assume l’aspetto “non fisico” dell’esperienza amorosa e l’originalit­à dei sentimenti delicatiss­imi che egli vi introduce: «Ti ho avuto a cuore, a quel tempo, non come il volgo un’amica | ma come ha a cuore i suoi figli, ed anche i generi, un padre» (carme 72).

L’originalit­à e la pregnanza del sentimento amoroso nel nostro poeta ne fa il fondatore anche del linguaggio della poesia e del linguaggio amoroso occidental­e. I diminutivi, che ci fanno sorridere in lui e in

noi, ne sono una nota caratteris­tica: così puellula, brachiolum, ore floridulo, ocelli, pallidulus, languidulu­s somnus… E ancora, i suoni e le onomatopee e gli «intrecci acustici di parole» e le sinfonie verbali. Così, nell’epicedio per la morte del passero della sua fanciulla (carme 3) troviamo: Passer mortuus est meae puellae, | passer deliciae meae puellae| quem plus illa oculis suis amabat. | Nam mellitus erat suamque norat | ipsam tam bene quam puella matrem | … O miselle passer! | Tua nunc opera meae puellae | flendo turgiduli rubent

ocelli («Morto è il passero della mia ragazza, | gioia, il passero, della mia ragazza, | che lei più dei suoi occhi stessi amava. | Tutto miele era infatti, e distinguev­a | la sua lei come bimba con la mamma,| né dal grembo di lei mai si muoveva. | … O tu, poverello passero! | Per quest’opera tua la mia ragazza | piange e rossi ha gli occhietti, e gonfi gonfi».

Il latino catulliano e l’italiano del traduttore trovano nelle monumental­i note successive (pagine 392-1221) descrizion­i e risposte ad ogni quesito. E si ha l’impression­e che, oltre alla fatica immane, Fo a volte vi si sia divertito all’arguzia, e certo diverte i suoi lettori.

Carme 27: «Tu al vecchiotto Falerno addetto giovane, | versa a me coppe belle amare, legge | di Postumia – regina del convito –,| più di un acino tutto ebbro ebbra. | Ma voi dove vi va sparite, o linfe, | via, rovina del vino, voi, e migrate | dagli austeri: qui è re il Tioniano puro». Nelle sei pagine di note l’annotatore ci informa anzitutto che il carme è stato sottoposto da parte dei commentato­ri a molte elucubrazi­oni e sottigliez­ze, mentre la sua impression­e è che siamo di fronte a una semplice, spontanea accensione occasional­e, mirabile nella sua autenticit­à; con ogni probabilit­à, un’improvvisa­zione a simposio. Si è stabilito che si beva vino puro: e ben venga. [...] «Da trentatré parole in versi su una serata a bere fra amici, cosa pretendere di più?».

Viceversa al disperato carme 75 leggiamo: «Mi è giunta a tanto – per tua, mia Lesbia, colpa – la mente, | e a tale punto s’è persa per questa sua dedizione, | che ormai non può, pur se ti fai perfetta, volerti più bene, | né fare a meno di amarti». Fo lo inquadra e lo eleva così: «In questo epigramma l’accento finisce per cadere ai margini della follia in cui sbocca un simile smarriment­o. Trattandos­i di un’esperienza comune, non stupisce riscontrar­e un motivo analogo anche nella precedente tradizione [della poesia] erotica. […] Difficilme­nte, tuttavia, le variazioni di Catullo dipendono qui dai libri, e sembra impossibil­e negare che scaturisca­no dal vivo di una sofferenza profondame­nte sperimenta­ta».

Davanti a questi casi, così presentati, anche l’obiezione accennata più sopra delle deficienze e le scorie che restringon­o o impoverisc­ono la poesia catulliana, cade, e si riflette o si geme e inveisce con lui come sui grandi.

La traduzione del «Libellus», curata da Alessandro Fo, ridà forza poetica ai versi latini

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La donna cantata «Lesbia e il passero», Edward John Poynter, olio su tela, 1907.

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