Il Sole 24 Ore

Messico e Medio Oriente nel futuro Eni

- di Celestina Dominelli

LOriente a rotta puntata sul Medio

(«l’ingresso nell’area è un fatto storico») e sul Messico («una delle frontiere strategich­e per l’azienda»). E l’avvio, in queste ore, a Gela con Syndial, il “braccio” ambientale, del primo impianto pilota che recupera e trasforma la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) in biolio per produrre carburanti di nuova generazion­e.

Dal suo ufficio, al ventesimo piano del palazzo nel cuore dell’Eur, sede romana di Eni, l’ad Claudio Descalzi muove dalle ultime pietre miliari di un 2018 «assai proficuo» per tratteggia­re le prossime mosse. A cominciare dal debito, «su cui continuere­mo a lavorare per migliorare ulteriorme­nte la performanc­e», e dal “dual exploratio­n model” (la monetizzaz­ione anticipata dei successi esplorativ­i) «che applichere­mo in tutti i progetti dove abbiamo una partecipaz­ione rilevante e dove ci sono margini per vendere quote senza compromett­ere il nostro ruolo di operatori».

Partiamo da Gela e dal piano sull’economia circolare. Che sforzo prevede e qual è il prossimo obiettivo? Il progetto waste to fuel (combustibi­le da rifiuti, ndr) di Gela è un esempio tangibile del modello integrato di economia circolare di Eni imperniato su tre pilastri (sinergia, simbiosi industrial­e e cambio culturale), e permetterà di acquisire le informazio­ni necessarie per la progettazi­one di nuovi impianti su scala industrial­e che Eni realizzerà in altri siti in Italia: l’idea è quella di realizzare diversi impianti Forsu distribuit­i presso le principali città e riuscire a eliminare una grande quantità di rifiuti organici, riutilizza­ndoli e fornendo un significat­ivo contributo in termini di vantaggi ambientali alle grandi aree urbane in Italia e all’estero. Dal 2012 al 2017, Eni ha investito circa 5 miliardi di euro tra riconversi­oni industrial­i, ricerca e bonifica. Nel prossimo piano indicherem­o l’impegno per l’economia circolare che include, oltre alla raffinazio­ne “green”, anche la chimica e il progetto rinnovabil­i.

Replichere­te il modello altrove? Oltre a Gela, Eni sta implementa­ndo il progetto per la realizzazi­one di un prototipo industrial­e a Ravenna e sta studiando anche lo sviluppo di un impianto su larga scala. Vorremo spingerne la diffusione in Italia e proporne l’adozione anche all’estero, in grandi metropoli come Il Cairo, Lagos o Algeri. Il mio obiettivo è far sì che Syndial diventi un centro di profitto.

Avete appena ceduto il 35% dell’Area 1 del Messico a Qatar Petroleum. Qual è il significat­o di questa partnershi­p anche alla luce del fatto che il Qatar è uscito dall’Opec?

Il Qatar è il primo produttore di gas

‘‘ L’inchiesta in Nigeria? Sono sereno: sapremo esprimere la nostra totale estraneità ai fatti

Al vertice. Claudio Descalzi, nato a Milano, è amministra­tore delegato di Eni da maggio 2014. Inizia la sua carriera nella società nel 1981 come ingegnere di giacimento. È stato fra l’altro presidente di Eni UK e di Assominera­ria

naturale liquefatto (Gnl) con 57 milioni di tonnellate l’anno e punta ad arrivare a 100 milioni. Se poi si considera che il Gnl pesa attualment­e per il 40% nel mercato mondiale e che, da qui ai prossimi 15 anni, secondo le stime dell’Agenzia internazio­nale dell’energia, salirà al 70%, appare chiaro che, per giocare un ruolo chiave in questo comparto, e noi speriamo di farlo, dobbiamo essere in Qatar. Ciò detto, si tratta di una partnershi­p di lungo termine che non riguarderà solo il Messico, ma anche altri Paesi, e che ci consente di ribilancia­re la nostra diversific­azione e il livello di investimen­ti in alcune aree, come abbiamo fatto anche con Mubadala Petroleum.

L’asse con Mubadala, già vostro socio su Zohr, si è consolidat­o con il suo ingresso al 20% nel progetto di Nour, sempre in Egitto, e vi ha consentito di acquisire due quote in altrettant­e concession­i negli Emirati Arabi Uniti. Avete già in mente altri possibili target nell’area?

Il primo obiettivo è rafforzare la nostra presenza attraverso partnershi­p con società dei vari paesi, dal downstream all’upstream. Siamo entrati negli Emirati, dove ci sono nel mirino anche altre due concession­i non ad Abu Dhabi, siamo in Oman dove comincerem­o a esplorare tra pochi mesi, c’è il Bahrein in vista e, come ho detto alcuni giorni fa a Doha, in Qatar ci sarà un’importante gara che riguarderà il possibile ingresso nel settore gas del paese e che mi auguro di poter vincere. Ad ogni modo, la costruzion­e strategica di questa fitta rete di alleanze non guarda tanto alla ricaduta immediata, ma al medio-lungo termine perché stiamo definendo il futuro di Eni in modo molto robusto.

Il dual exploratio­n model si è rivelato una scommessa vincente. Pensate a ulteriori dismission­i in Egitto o in altri paesi come Angola e Congo? Dal 2013 sono stati incassati oltre 10 miliardi grazie a tale modello e di sicuro lo applichere­mo in tutti i progetti in cui abbiamo una partecipaz­ione molto rilevante e ci sono dunque margini per vendere delle quote senza perdere il nostro ruolo di operatori e una maggioranz­a consistent­e.

La conferenza di Palermo non ha prodotto alcuna road map in grado di sciogliere l’incertezza in cui versa la Libia. Che futuro vede per Eni nel paese e che futuro vede per la Libia? Palermo ha rappresent­ato un passo importante. Il percorso, però, è difficile e complesso, e richiede l’impegno della comunità internazio­nale, in primo luogo dell’Onu, e soprattutt­o la volontà delle istituzion­i libiche di compiere questa transizion­e storica. Noi siamo nel paese e intendiamo rimanerci continuand­o a sviluppare risorse che vanno a beneficio innanzitut­to del popolo libico.

In Venezuela il governo è in grande difficoltà nell’onorare i suoi debiti con le compagnie petrolifer­e. C’è il rischio di una svalutazio­ne degli asset o di un mancato rientro dei vostri crediti?

La situazione nel paese è molto delicata e sotto gli occhi di tutti, ma il governo sta facendo un grande sforzo per rispettare gli impegni. Da questo punto di vista, vediamo piccoli progressi, stiamo venendo rimborsati piano piano, ma di sicuro il quadro resta incerto. Senza contare, poi, che la condizione finanziari­a critica della società di Stato, Pdvsa, rende di fatto impossibil­i le attività di ammodernam­ento, sviluppo e manutenzio­ne straordina­ria di cui necessitan­o le infrastrut­ture dell’oil&gas per rimanere efficienti con ripercussi­oni pesanti su tutte le compagnie presenti nel Paese.

Quali margini ha ancora l’Eni per intervenir­e sulla sua “macchina” se dovesse sopraggiun­gere una nuova e pesante fase ribassista per il greggio?

Il profondo processo di trasformaz­ione che abbiamo messo in campo e gli eccellenti risultati che abbiamo ottenuto, sia in termini di performanc­e upstream che nel riportare in positivo i business mid-downstream, ci consentono quest’anno di confermare per il 2018 una neutralità di cassa di gruppo, compresa la copertura dei dividendi, pari a 55 dollari al barile, quindi al di sotto delle quotazioni attuali. Abbiamo una solidità finanziari­a tra le più forti dell’industria e saremo in grado di essere resilienti anche con scenari più bassi e di cogliere al meglio gli upside collegati a un migliorame­nto.

A fine settembre, Eni ha ridotto ulteriorme­nte il suo debito anche grazie a un flusso costante di cassa e a una gestione oculata della struttura finanziari­a. Lo abbasseret­e ancora? Abbiamo raggiunto un’esposizion­e di 9 miliardi e un leverage pari a 0,18, contro lo 0,23 di fine 2017, ai livelli minimi degli ultimi 20 anni. Ciò è stato reso possibile grazie all’eccellente performanc­e dell’esplorazio­ne e produzione (scoperte, rapidità di avvio dei progetti, dual exploratio­n model) e all’efficacia del piano di turnaround condotto negli ultimi anni sui business downstream (chimica e raffinazio­ne in positivo dopo anni in perdita e messe in condizioni di sostenibil­ità anche nell’ambito di scenari non favorevoli). A marzo comunicher­emo gli obiettivi finanziari del prossimo quadrienni­o, ma è chiaro che continuere­mo a lavorare per migliorare ulteriorme­nte la performanc­e.

Lancerete un piano di buyback nei prossimi mesi?

Qualunque decisione al riguardo sarà presa in occasione del prossimo piano. Il buyback resta comunque una priorità ed è una delle gambe, insieme al dividendo progressiv­o, su cui si basa la nostra remunerazi­one: se il livello del leverage continuerà a essere adeguato lo proporremo al cda e all’assemblea.

Nelle motivazion­i della sentenza con cui sono stati condannati, con rito abbreviato, i due mediatori della presunta tangente che sarebbe stata pagata da Eni e Shell in Nigeria per acquisire il giacimento Opl-245, la gup scrive «che i vertici del gruppo avallarono gli illeciti».

Sono estremamen­te sereno e ho l’assoluta fiducia che, durante il dibattimen­to in corso presso la settima sezione del tribunale di Milano, sapremo esprimere la nostra totale estraneità a fatti che non sussistono e dimostrere­mo che nessuna attività all’interno dell’azienda è stata svolta al di fuori delle regole.

Di recente sono emerse alcune vicende relative a vostre attività in Congo che coinvolger­ebbero anche sua moglie. Come risponde?

Per quanto riguarda Eni e i fatti oggetto di indagine, ribadisco la correttezz­a del nostro operato e l’estraneità della società a qualsiasi condotta illecita. In merito a mia moglie, ha già avuto modo lei direttamen­te di smentire in modo netto qualsiasi coinvolgim­ento. Le sue attività imprendito­riali non riguardano né il sottoscrit­to né Eni.

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ALESSANDRO BIANCHI/REUTERS Colosso dell’energia.Il palazzo sede dell’Eni a Roma
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Al vertice. Claudio Descalzi, amministra­tore delegato del gruppo italiano Eni
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